di Mattew Karntschnig
Povero Alexis Tsipras. Da giorni ormai, il leader greco sta attaccato al telefono per cercare di ottenere le migliori possibili condizioni per il suo paese, in vista dell’ultimo capitolo dell’infinito ciclo di salvataggi. Per ora, i suoi sforzi gli sono valsi più sberleffi che rispetto – specialmente in Germania.
“Lui continua a chiamare, e il cancelliere continua a ripetergli: ‘Alexis, questa faccenda devono deciderla i ministri delle finanze’”, ha dichiarato il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble martedì, riferendosi ai tentativi del primo ministro ellenico di portare Angela Merkel dalla sua parte.
Giovedì [15 giugno] i ministri delle finanze dell’eurozona [hanno avuto] un incontro in Lussemburgo per decidere se concedere altri 7 miliardi di euro di aiuti alla Grecia. Nessuno mette in dubbio che Atene avrà questi soldi. Schäuble l’ha praticamente promesso. Ma Tsipras vuole qualcosa di ancora più prezioso: una riduzione del debito.
Nessun economista degno di questo nome crede davvero che la Grecia sarà mai in grado di uscir fuori dai 300 miliardi di debito che la opprimono senza una significativa riduzione del debito da parte dei suoi creditori. Ciò significa convincere la Germania, il maggior creditore.
Per gran parte del decennio di depressione della Grecia, il paese è rimasto in ostaggio della sua politica interna. Ora, è ostaggio della politica interna tedesca.
Berlino, che a lungo si è opposta al taglio del debito, si rifiuta di capitolare. Il prossimo settembre ci saranno le elezioni generali in Germania, e di conseguenza la Merkel e Schäuble fino a quel momento non ammorbidiranno la loro posizione. Il salvataggio della Grecia è un argomento politicamente tossico in Germania, e qualsiasi accordo che preveda un taglio del debito verrebbe visto internamente come un’ammissione che lo sforzo per salvare la Grecia è fallito – a spese dei contribuenti tedeschi.
Nel corso degli anni, la Germania ha accettato silenziosamente forme più nascoste di taglio del debito, come l’estensione delle scadenze del debito greco e la riduzione dei tassi di interesse. Ma un taglio vero e proprio, come chiede il Fondo monetario internazionale, sarebbe inaccettabile. Quantomeno fino al giorno delle elezioni.
Sfortunatamente per Tsipras, c’è poco che lui possa fare. Una delle principali ragioni per cui desidera il taglio del debito è che questo consentirebbe alla BCE di includere la Grecia nel suo programma di acquisto di titoli di stato, noto come QE.
Questo aiuterebbe molto ad accrescere la fiducia degli investitori nella stabilità greca. Ma la Grecia non può essere inclusa nel programma finché il peso del suo debito è ritenuto insostenibile. E dato che il QE della BCE dovrebbe presto cessare, la Grecia potrebbe non vederne mai i benefici.
Tsipras potrebbe tentare di non raggiungere un accordo questa settimana, portando la questione la prossima settimana sul tavolo del summit dei leader Europei a Bruxelles. Ma non farebbe nessuna differenza.
La verità è che l’Europa non ascolta più la Grecia da molto tempo.
Sono finiti i tempi in cui le voci di “Grexit” rendevano nervosi gli operatori finanziari. Oggi, menzionare la Grecia al massimo può suscitare uno sguardo vitreo, oppure uno sbadiglio. Il debito del paese ormai è fuori dal mercato del credito, è nei depositi della BCE e dei ministeri del tesoro europei, pertanto Atene non può più minacciare il sistema finanziario globale.
Tsipras non ha capito questa dinamica finché lui e la sua coalizione di sinistra non sono stati eletti, all’inizio del 2015. SYRIZA ha vinto promettendo di invertire la maggior parte dell’austerità che i creditori avevano imposto alla Grecia negli anni. Rincuorato dalla vittoria, Tsipras ha tenuto un referendum per chiedere agli elettori se il governo dovesse accettare i termini del salvataggio negoziati dal suo predecessore. La risposta degli elettori è stata chiara: Oxi, no.
A questo punto, è intervenuta la realtà. Messo di fronte alla prospettiva del collasso del sistema bancario greco, dell’uscita dall’eurozona e di un futuro ancora peggiore del presente, Tsipras e la sua banda di agitatori sinistrorsi sono stati messi in ginocchio. Yanis Varoufakis, il ministro delle finanze “rockstar” che aveva chiesto di “puntare il dito contro la Germania” è stato cacciato via.
Da quel momento, Tsipras ha in larga parte accettato le richieste dei creditori di ulteriori tagli al bilancio e riforme dell’economia. Berlino e i suoi partner hanno affrontato i suoi sporadici attacchi con semplice pazienza. Alla fine, sapevano che il leader greco non avrebbe avuto altra scelta che arrendersi.
Più e più volte, hanno avuto ragione. Proprio lo scorso mese, Tsipras ha imposto tagli alle pensioni, qualcosa di inimmaginabile solo poco tempo fa.
Dall’inizio della crisi, parte della strategia tedesca nell’affrontare la Grecia consisteva nel non rendere il processo troppo semplice. Anche se i funzionari tedeschi non lo ammetteranno in pubblico, fare della Grecia un esempio è sempre stata una parte del piano.
Ed ha funzionato. In tutta Europa, la Grecia è diventata sinonimo di incompetenza economica. I funzionari delle altre capitali europee si riferiscono ad Atene come al parente ribelle e impenitente. Nessuno vuole essere come la Grecia.
“La Grecia è di fatto una colonia”, ha detto il ministero degli esteri polacco Witold Waszczykowski in un’intervista a POLITICO, spiegando la resistenza del suo paese ad adottare l’euro. “Non vogliamo ripetere la sua esperienza”.
Nonostante il peso della sua cattiva reputazione, la Grecia spera di poter ottenere quello che desidera, alla fine.
Anzitutto, l’FMI sta dalla sua parte da più di un anno: si è rifiutato di partecipare al salvataggio a meno che non includesse anche un taglio del debito. Il parlamento tedesco ha approvato nel 2015 il salvataggio ponendo come condizione la partecipazione del FMI, che secondo i parlamentari era una garanzia che il processo non sarebbe stato troppo favorevole ad Atene.
Ciò ha portato a una lunga situazione di stallo. La scorsa settimana, il capo dell’FMI, Christine Lagarde, ha proposto un gioco di prestigio che permetterebbe di procedere al salvataggio. L’FMI si unirebbe formalmente al salvataggio, ma non concederebbe alcun finanziamento fino a quando gli europei non esplicitano che tipo di taglio del debito sono disposti ad accettare.
Sempre che questo accada, non sarebbe prima delle elezioni tedesche. Nel frattempo, Tsipras non ha altra scelta se non esaudire i desideri dei suoi padroni “coloniali”.
Pubblicato su Politico il 14 giugno 2017. Traduzione di Voci dall’Estero.