Roma – Il Fiscal compact, strumento principe attraverso il quale si è imposta la dottrina dell’austerità per rispondere alla crisi economico-finanziaria scoppiata sul finire del decennio scorso, torna ad essere oggetto di duro scontro tra l’Italia e la Commissione europea. O meglio, con uno dei falchi dell’esecutivo comunitario, il vicepresidente con delega all’Euro Valdis Dombrovskis.
Il commissario, come riportato oggi da un articolo pubblicato dal Corriere della sera, ritiene che “la trasposizione del Fiscal compact nel diritto europeo è qualcosa che abbiamo tutti concordato dall’inizio”, e indica che “un’applicazione credibile delle regole esistenti è il punto di partenza di qualunque rafforzamento delle istituzioni e degli strumenti dell’area euro”. In altre parole, “che senso ha mettersi d’accordo su nuove regole, se non rispetti quelle che esistono?”, domanda retoricamente.
La risposta piccata del governo italiano non si fa attendere e viene affidata al sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, che in un post sul suo profilo Facebook invita il “caro Valdis” a leggerlo bene il Fiscal compact, perché è vero che l’accordo prevede una trasposizione nei trattati europei, ma solo dopo una valutazione sulla sua efficacia da realizzare dopo i primi cinque anni dall’entrata in vigore (scadenza che arriva alla fine di quest’anno).
“Benissimo”, tuona Gozi, “la nostra valutazione è che vari aspetti del Fiscal Compact e di quelle regole complesse e astruse chiamate ‘pack’ siano da modificare”. Per l’esponente dell’esecutivo, “se finalmente cominciamo a riformare in modo serio la Zona euro e a rifondare l’Ue – e noi vogliamo farlo dal 2014! – dobbiamo ridiscutere troppe regole decise sotto la “dittatura dell’urgenza’”.
Per il sottosegretario, la firma del Fiscal compact è stata posta praticamente sotto ricatto, perché “nel bel mezzo della tempesta finanziaria, con l’Italia sull’orlo del baratro, la vera ragione politica del compromesso sul Fiscal compact era di rendere possibile l’essenziale intervento di liquidità della Bce di Mario Draghi”.
Adesso che “sono passati cinque anni e la situazione è molto diversa”, l’Italia può permettersi di dire che “in assenza di vere riforme europee della Zona euro, siamo contrari a inserire il Fiscal Compact nei trattati Ue”. Le richieste sono quelle su cui da anni punta l’esecutivo, prima quello guidato da Matteo Renzi, ora quello di Paolo Gentiloni, e Gozi le elenca tutte. “Vogliamo una strategia europea per gli investimenti che aiuti lo sviluppo invece di deprimerlo”. Poi “un euro che accompagni e incoraggi le riforme e faciliti i veri investimenti nazionali”. La riduzione del debito deve essere “sostenibile, senza indebolire la crescita”. La lotta contro disoccupazione e diseguaglianze deve avere “la stessa forza e importanza dei processi finanziari”.
“Vogliamo, dopo tutto, tornare a Maastricht”, riassume l’esponente di Palazzo Chigi, spiegando che “per questo diciamo no all’inserimento del Fiscal Compact nei trattati”. Una posizione ferma e decisa, di chi pensa di avere ormai la forza sufficiente per poter resistere ai falchi che sono riusciti finora a imporre la dottrina del rigore. Bisognerà vedere se questa forza basterà per far passare le modifiche auspicate prima che la Bce di Draghi – che per ora sta ancora resistendo alle pressioni tedesche – ponga fine alla politica monetaria “accomodante” che ha messo al riparo l’Italia dagli speculatori. Se così non fosse, è facile attendersi il ritorno di quella “dittatura dell’urgenza” che costringerà l’Italia a piegarsi nuovamente.