Bruxelles – La Brexit crea scompiglio in Europa per il ricollocamento delle due agenzie europee, Ema (Agenzia europea del farmaco) e Eba (Autorità bancaria europea) con attuale sede nel Regno Unito. Le due agenzie dovranno presto cambiare casa e sono tante le candidature proposte dai paesi membri, tra cui quella di Milano, con il ‘Pirellone’, che l’Italia vorrebbe come nuova sede dell’Ema. I lavori diplomatici, in queste settimane, ruotano tutti attorno alla decisione dei criteri di selezione e di voto che dovranno essere utilizzati per eleggere i due vincitori. Criteri che, per essere definiti, hanno bisogno di un voto unanime da parte degli Stati membri (l’unico escluso dalla votazione è il Regno Unito).
Il Consiglio Affari generali tenutosi ieri si è concluso senza accordo e con un’evidente spaccatura tra i 27, con i paesi dell’Est che puntano su procedure incentrate sul criterio geografico, forti della bassa presenza di agenzie europee nei loro territori, e quelli dell’Europa centro-occidentale che invece vogliono criteri più tecnici. Tra questi l’Italia, che non molla la presa sulla candidatura di Milano, tant’è che ieri, in sede di Consiglio Affari generali, ha espresso delle riserve sulla procedura di voto proposta dal presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, e da quello del Consiglio europeo, Donald Tusk che. A detta del sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, “non assicura la continuità e il buon funzionamento delle agenzie”, e nemmeno che “la selezione avvenga veramente sulla base di criteri tecnici”. “Il cuore della questione – ha affermato Gozi – è chi soddisfa meglio i criteri di pieno e buon funzionamento delle agenzie”. È necessario garantire che “le condizioni necessarie per un’accoglienza positiva nelle città in cui andranno le agenzie siano soddisfatte – ha precisato – e non siano solamente criteri politici” a guidare la scelta, perché così si metterebbe “a rischio il buon funzionamento” dell’agenzia.
Il sistema di voto messo sul tavolo dei negoziati da Consiglio e Commissione prevede che ogni Stato abbia a disposizione sei punti da distribuire al primo turno di votazione: tre alla prima scelta, due alla seconda e uno alla terza. 14 sono i punti minimi necessari per poter passare il turno di selezione. Soglia che l’Italia vuole alzare a 19 per assicurare un più ampio consenso con una maggioranza che non sia semplice ma dei due terzi.
Il tema sarà oggetto di discussione al Consiglio europeo di domani, per una valutazione da parte dei capi di stato e di governo che saranno riuniti a Bruxelles, come ha anche indicato nel suo intervento in Parlamento il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni. Fonti Ue, già oggi, si sono dette “fiduciose” che le divergenze tecniche riscontrate a livello ministeriale potranno essere superate a livello politico durante il vertice, sottolineando che “non ci saranno cambiamenti né ai criteri di valutazione delle candidature né alla procedura di voto” stabiliti da Junker e Tusk.
L’Italia, da parte sua, si è detta convinta a sostenere la propria causa durante il Consiglio europeo, ma con toni più morbidi rispetto a quelli mostrati ieri. Fonti diplomatiche riferiscono che il Paese insisterà per criteri che permettano una “valutazione tecnica oggettiva e trasparente”, che costituisce una “garanzia per i cittadini europei”. Tuttavia, l’obiettivo rimane quello di raggiungere un accordo tra i 27 per poter procedere con le votazioni già in ottobre. Se il consenso dunque dovrebbe giungere senza i cambiamenti auspicati dal governo, Milano potrebbe perdere terreno nella corsa per aggiudicarsi la vittoria, come lascia intendere lo stesso premier quando indica il timore che la decisione venga presa “sulla base di una logica di qualche compensazione interna a questo o quel gruppo di Paesi europei”.