Roma – Il made in Italy alimentare è al riparo dalla Brexit, che lo scalfirà meno di altri settori. “Tendenzialmente” anche dopo l’addio di Londra dall’Ue gli scambi commerciali tra Italia e Regno Unito potranno continuare senza troppi scossoni in questo particolare settore. In tempi di incertezze, Antonio Ferraioli offre rassicurazioni. Il vicepresidente di Federalimentare e presidente di La Doria le dà alla platea della conferenza “Brexit nel negoziato: impatti su commercio, dogane e logistica tra Ue e Regno Unito” organizzata da Eunews a Roma. Di fronte a un tema che solleva dubbi e interrogativi, il settore agroalimentare le sue valutazioni le ha fatte, e le prime risposte le ha sapute trovare. Nel mercato. Quelli alimentari sono beni di prima necessità, e in quanto tali godranno sempre di una domanda, ricorda Ferraioli. Anche se ci fosse un rincaro sullo scaffale per effetto di nuovi dazi, cosa peraltro non esclusa e anzi presa in considerazione, a rischiare una contrazione della domanda sarebbero innanzitutto i beni di lusso. “Ci sono poi prodotti e prodotti”. Questo vuol dire che con la Brexit i prodotti di largo consumo quali derivati da pomodoro o sughi “potranno avere impatti minori”.
Il settore agroalimentare genera un export parti a 2,8 miliardi di euro (dati 2016). Solo La Doria vanta un fatturato di 650 milioni di euro, con il Regno Unito che vale il 50% di questo turnover. Cifre che bastano a far capire l’importanza delle relazioni con il Paese. Per ora numeri e strategie non cambiano. “Lo scenario in cui abbiamo lavorato in questo anno è stato quello di mantenere i volumi, e ci siamo riusciti”, sottolinea Ferraioli. Per i prossimi anni si continuerà lungo lo stesso binario. “Per noi adesso è business as usual”, e così sarà per tutto il tempo in cui Londra farà parte dell’Ue. La data di riferimento resta dunque il 29 marzo 2019, quando si esauriranno i due anni di tempo per concludere la Brexit. “Non è escluso che ci possa essere un prolungamento dei negoziati se c’è l’accordo e un accordo transitorio se si intravede la possibilità” di stabilirne uno, ragiona il vicepresidente di Federalimentare.
Questo non significa che rischi e insidie non ce ne siano. Se non si trova un accordo commerciale tra Regno Unito e Ue, allora “il rischio principale è quello dei dazi”, che scatterebbero in automatico. Alcuni prodotti potrebbero arrivare sugli scaffali a prezzi più alti, disincentivando l’acquisto. Non solo. Potrebbe verificarsi una situazione ‘di crisi’, con aziende che delocalizzano, posti di lavori che si perdono, prezzi che aumentano e potere d’acquisto che si riduce. Qui la domanda potrebbe contrarsi ancora di più, anche se “tendenzialmente” non dovrebbe colpire fortemente l’industria agroalimentare né il made in Italy. Anche Daniel Shillito, presidente della Camera di commercio britannica per l’Italia, crede che alla fine un accordo commerciale potrà essere trovato, e gli impatti della Brexit ridotti. “Business e politica si muovono a ritmi diversi, potremmo dire che ballano musiche diverse”.