Bruxelles – Brexit sì, Brexit no, e in caso di “leave” stabilire cosa fare. Referendum sull’Ue, ovvero il Regno Unito e i suoi dilemmi. Il referendum del 23 giugno 2016 ha segnato l’inizio di un processo che si annuncia complesso, delicato e probabilmente lungo, più lungo di quanto si pensi. Decidere come trattare il Regno Unito dopo l’abbandono dell’Unione europea non sarà un gioco, e anche se molti ostentano ottimismo sulla possibilità di risolvere tutto in due anni, sono in molti a ritenere che probabilmente così non sarà. I britannici, però, un piano di emergenza sembrano avercelo già pronto, almeno per quanto riguarda le politiche commerciali. E’ dal 2013 che si studia lo scenario Brexit, e il passaggio dal mercato unico al regime della Wto (Organizzazione mondiale per il commercio) è l’opzione individuata come migliore. Proprio così. A Westminster i deputati dispongono da tempo di documenti messi a punto in vista del referendum, poi tenutosi con gli esiti a tutti oggi noti. Contenuti nella biblioteca della Camera dei Comuni, i vari studi rientrano nelle politiche dell’allora premier David Cameron. Fu lui a volere le realizzazione di analisi che mostrassero costi e benefici dell’appartenenza all’Ue, con lo scopo di dimostrare che comunque far parte dell’Unione era più vantaggioso. Tentativo comprensibile ma disperato, nell’auspicio di evitare la Brexit.
Nel documento di 32 pagine dal titolo “Gli impatti economici dell’associazione all’Ue sul Regno Unito” (titolo originale: “The economic impact of EU membership on the UK”) gli autori evidenziano che “un vasto numero di accordi diversi potrebbe derivare dall’uscita del Regno Unito dall’Ue”. In questo scenario, i termini dell’Organizzazione mondiale per il commercio “limitano” lo spettro di risultati. Il modello Wto è considerato il migliore da seguire, non fosse altro perché sicuro. La Wto fornisce già regole, principi e standard, e non impone di doverne cercare di nuovi. Accordi commerciali possono essere fatti tra il Regno Unito e l’Ue in questo ambito, senza lo stress di dover negoziare proprio tutto daccapo. L’opzione Wto è dunque una sicurezza in tempi di grande incertezza. Instaurare relazioni commerciali con l’Ue in regime di Wto toglierebbe il Regno Unito da tanti problemi, innanzitutto pratici. Se non si raggiungono accordi di uscita non si possono discutere le nuove relazioni, e il Wto offre un porto sicuro in caso di tempesta, un’alternativa al rischio concreto di ritrovarsi in un vuoto normativo che getterebbe tutti nell’incertezza più assoluta.
RIcorrere ad accordi commerciali Ue-Regno Unito sulla base dei dispositivi Wto, però, vorrebbe dire avere la certezza di una sconfitta politica. L’opzione commerciale in questo senso è considerata come parte della cosiddetta “hard Brexit”, l’uscita dall’Ue alle peggiori condizioni possibili. Esattamente quello che Londra vorrebbe evitare. La “soft Brexit”, al contrario, permetterebbe un accordo bilaterale e la possibilità di continuare a far parte del mercato unico. Una condizione legata a tante altre, nessuna delle quali facili da risolvere. Far parte del mercato unico significa accettare il principio delle quattro libertà (libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali), su cui a Londra ci sono remore. Vuol dire anche risolvere le questioni legate agli oneri di bilancio. Qui il braccio di ferro tra Londra e Bruxelles è già iniziato.
Lo scenario Wto, come detto, è però considerato come punto di riferimento, anche perchè altre opzioni al momento non ce ne sono, sono eventualmente tutte da negoziare. Relazioni in regime di Wto determinano pro e contro. Gli analisti ricordano che in base alle regole Wto c’è la possibilità di applicare la “clausola della Nazione più favorita”, con cui i Paesi si impegnano a riconoscere alle merci importate condizioni doganali non meno favorevoli di quelle già stabilite negli accordi commerciali con un altro Paese terzo. “In pratica – si sottolinea – ciò impedirebbe l’imposizione di tariffe discriminatorie o punitive dall’Ue sul Regno Unito o viceversa”. Dall’altra parte, però, queste tariffe verrebbero imposte a circa il 90% delle esportazioni di beni britannici verso l’Ue, e questo vorrebbe dire per molti esportatori diventare meno competitivi in termini di prezzi e costi rispetto alle controparti che operano all’interno dell’Ue. Insomma, anche nello scenario migliore le cose non si mettono per il meglio, in ottica britannica. Oltre Manica lo sanno dal 2013.