Bruxelles – L’industria alimentare europea chiede alla Commissione di avere una risposta chiara in merito ai “profili nutrizionali” che consentono alle imprese di indicare le caratteristiche di un cibo. Si tratta di una lettera firmata da associazioni di settore e federazioni di piccole e medie imprese alimentari provenienti da diversi Stati membri, e inviata nell’ottica della revisione del regolamento “Claims”, varato dalle istituzioni comunitarie nel 2006. L’obiettivo di queste regole è quello di garantire che tutte le rivendicazioni relative all’etichettatura di un prodotto alimentare, utilizzate ad esempio per una pubblicità all’interno nell’Unione europea, siano chiare, precise e basate su prove scientifiche.
Le organizzazioni alimentari – tra cui spiccano l’italiana Federalimentare, la spagnola Fiab, la federazione delle industrie alimentari del Lussemburgo e la tedesca Bll – rendono noto alla Commissione Ue che “molte aziende, federazioni del cibo e delle bevande e associazioni di settore in tutta l’Unione europea, hanno un’altra visione” sulle questioni che riguardano i “profili nutrizionali” dei prodotti alimentari. In particolare, le associazioni fanno riferimento alle precedenti posizione assunte da alcune multinazionali in una lettera inviata a Bruxelles, nella quale propongono nuovi meccanismi di etichettatura che produrrebbero, secondo le organizzazioni del cibo, una differenziazione degli alimenti in “buoni” o “cattivi” indipendentemente dalle reali qualità e caratteristiche nutrizionali. Inoltre, l’introduzione del concetto di “porzioni flessibili” proposto dalle multinazionali per le indicazioni nutrizionali dei singoli alimenti, indurrebbe in confusione i consumatori alle prese con le proprie scelte alimentari.
“I profili nutrizionali”, scrivono le associazioni, “rappresentano uno strumento per classificare o raggruppare gli alimenti secondo la loro composizione di determinate sostanze nutritive (generalmente sale, zuccheri e grassi) senza prendere in considerazione la loro assunzione nella dieta generale”. È importante quindi ribadire che “non ci sono alimenti ‘buoni’ o ‘cattivi’, ma solo diete più o meno equilibrate a seconda delle combinazioni dei cibi o della frequenza del loro consumo, secondo le abitudini e le tradizioni dei diversi Paesi”. Inoltre, una classificazione dei profili nutrizionali che non tenesse conto di quest’ultimo aspetto, “condurrebbe al potenziale rischio che le indicazioni comunitarie potrebbero essere utilizzate dagli Stati membri per giustificare ulteriori misure discriminatorie (nuove tasse ndr) nei confronti di quei cibi che non soddisfano tali caratteristiche”.