di Pierluigi Fagan
La notizia è quella dell’ improvviso e sincronizzato ostracismo nei confronti del Qatar, operato da Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi ed Egitto, una espulsione dalle logiche che uniscono tra loro gli Stati che si affacciano sul Golfo e da quelle a base della nuova “NATO araba”. Il fatto è la miccia d’innesco di un processo.
Il processo è quello di “semplificare” una regione che gode di una lunga tradizione di atavici “tutti contro tutti”, una sorta di frattale multipolare a sé a base tribal-beduina. I poli tradizionali della regione sono la Turchia, l’Iran, le petromonarchie (tutt’altro che omogenee tra loro), l’Egitto; un attrattore politico è il conflitto israelo-palestinese; lo sfondo ideologico islamico-politico è quello che vede sia governi laici come l’egiziano (e in fondo anche quello turco) sia monarchie sunnite islamicamente ingiustificate (forse con l’eccezione giordana), la spaccatura sciiti–sunniti (su cui ormai sarete esperti). E c’è quell’aggrovigliato mondo che si riferisce all’ideologia genericamente definita “salafita”, che ha al suo interno diversi interpreti in competizione sia con l’Occidente, sia con molti governi arabi ritenuti – in genere – illegittimi, sia tra loro.
Sotto tutto ciò c’è il petrolio (le riserve, il prezzo, la logistica delle pipeline) e quindi un mare di soldi, la lotta per l’egemonia dei sunniti, la geopolitica di un’area che deve esser attraversata dalla Via della Seta di mare cinese, i rapporti tra occidentali (USA ed UK in primis) e locali.
Il Qatar è una monarchia del Golfo, storicamente in competizione con l’Arabia Saudita non solo perché i due paesi sono confinanti ma anche perché entrambi sono Stati islamici, ancorché seguano ispirazioni teologico-normative diverse. Il Qatar è stato spesso affiancato ad altri nell’elenco degli Stati che finanziano e proteggono l’ISIS, ma chi scrive pensa che ciò sia volutamente confusivo, poiché l’ISIS è creatura eminentemente saudita e quindi è assai improbabile che riceva aiuti dal Qatar. Il Qatar è notoriamente supporter di un’altra interpretazione del salafismo, quella dei Fratelli musulmani, che ha tradizione in Egitto, presso i palestinesi di Gaza (Hamas) e in Turchia, paese che infatti ha strettissimi legami col Qatar (c’era chi sosteneva che le prime informazioni sul tentativo di colpo di stato in Turchia vennero date ad Erdogan dai servizi qatarioti).
Ad al-Qa’ida, storicamente, gli appoggi vengono un po’ da ogni parte del Golfo, sebbene sia da quasi tutti ritenuto che in Siria, al-Nusra nello specifico, il primo manovratore delle fazioni locali fosse appunto il Qatar. Forse la guerra siriana è stata persa da questi suoi attori anche per via della competizione tra Fratellanza, qaedisti e ISIS, che nasconde la competizione per l’egemonia dell’Islam salafita tra le due petromonarchie del Golfo.
Ricorderete altresì che alla base del conflitto siriano c’era – tra l’altro – la questione della competizione tra gasdotti che peraltro pescavano dallo stesso pozzo (il più grande del mondo) che si trova sotto il Golfo, quello qatariota e quello iraniano.
Per via di questo “condominio” estrattivo i rapporti tra qatarioti e iraniani sono cordiali (anche se poi si fanno guerra per procura in Siria) e il fondo del Qatar ha rilevato mesi fa una quota di minoranza della Rosneft russa. Il Qatar ospita anche il comando USA dell’area, fu tra gli attivi sovvertitori di Gheddafi in Libia ed oggi parteggia per Serraj contro Haftar (appoggiato da egiziani ed emiratini).
Il fatto del giorno, che segue la recente kermesse di Riad con la solenne imposizione delle mani sul mondo di re Salman ed al-Sisi uniti da Trump, sembra dire una cosa ben precisa: nell’area non c’è posto per nessun altro che non si schieri dalla parte capitanata da USA-Arabia Saudita.
I Fratelli musulmani e l’eterodirezione di al-Qa’ida vanno abbandonate, quindi Hamas. Ogni intromissione sciita (Hezbollah) e lo stesso Hamas non debbono più infastidire Tel Aviv. Deve esser stato firmato un patto d’acciaio su qualche progetto petrolifero di cui non conosciamo i termini ma che sembrerebbe voler mettere in ginocchio il Qatar, quindi dare per persa o pareggiata la faccenda in Siria ed al suo posto voler pensare a pipeline che passino in Arabia Saudita e poi o in Giordania-Israele o Egitto-Sinai per sboccare nel Mediterraneo.
Forse c’è la promessa di Tillerson di far acquistare da mani americane quel 5% della compagnia petrolifera saudita Aramco, di prossima collocazione sul “mercato” a garanzia del patto del nuovo matrimonio strategico americo-saudita che l’amministrazione Obama aveva provato – contraddittoriamente – a mettere in dubbio.
In seguito, un bel conflitto nel Golfo Persico – o anche la sua perdurante minaccia – bloccherebbe il Golfo, quindi le forniture iraniane, farebbe schizzare il prezzo del barile con grande gioia di Tillerson e della lobby delle quattro sorelle che ha promosso la presidenza Trump, porterebbe i petrodollari a fluire nell’industria degli armamenti americana, porterebbe in stallo l’intera complessa strategia cinese della Via della Seta tanto di terra (via Iran) che di mare (Mar Rosso, Suez), risolverebbe sia la successione a Salman in favore del giovane bin Salman (ministro della difesa, l’acquirente della recente commessa di armi americane da 110 miliardi di dollari), sia il senso strategico dell’Arabia Saudita (custode e perno armato del sunnismo) per i prossimi anni.
In pratica, un tentativo di polarizzare l’area visto che il resto del mondo è ormai irrimediabilmente avviato al suo destino multipolare.
Chance di riuscita dell’operazione? Davvero poche, ma gli sviluppi saranno da seguire con attenzione, a partire dalle reazioni turche, russe, iraniane e soprattutto qatariote, il paese più ricco del mondo (per PPA), cassaforte di petrodollari che fluiscono in tutta la finanza strategica occidentale, la cui popolazione ha preso d’assalto i supermercati (e la borsa di Doha è crollata) poiché – di fatto – quello verso il Qatar è un blocco che strozzerà in breve tempo la penisola proprio sul piano logistico. Come ne uscirà l’emiro (anche lui “giovane”) al-Thani?
Pubblicato su Megachip il 6 giugno 2017.