Bruxelles – La legislazione comunitaria in tema di ricongiungimenti familiari contiene dei vuoti normativi, da colmare con un’interpretazione delle regole più flessibile possibile. Questo il principio proposto dall’avvocato generale Yves Bot nell’affrontare la causa sollevata da Toufik Lounes, cittadino algerino a cui il Regno Unito ha negato il permesso di soggiorno pur avendo una moglie naturalizzata britannica.
Il problema è proprio qui, nei cittadini naturalizzati. La direttiva europea sul diritto di soggiorno dei cittadini Ue prevede che ci possa essere ricongiungimento familiare nel caso in cui un cittadino di uno Stato membro si trasferisca in un altro Stato membro. Ai sensi della direttiva, avere la stessa cittadinanza del Paese in cui si risiede, non dà diritto ai familiari al ricongiungimento. Nel caso su cui la Corte di giustizia europea dovrà pronunciarsi nelle prossime settimane, il signor Lounes sarebbe escluso dal Regno Unito se si dovesse applicare la normativa così com’è. La moglie, originariamente spagnola, ha acquisito la cittadinanza britannica per naturalizzazione e si ritiene che non rientri più nella nozione di “avente diritto” al ricongiungimento familiare, dato che la direttiva si applica “a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza”.
L’avvocato generale chiede però di andare oltre la direttiva e di rifarsi ai trattati, ed in particolare all’articolo 21 del trattato sul funzionamento dell’Ue, in base al quale gli Stati membri devono consentire ai cittadini dell’Unione, non aventi la cittadinanza di tali Stati, di circolare e soggiornare nel loro territorio con i loro coniugi. E’ vero che il Regno Unito non è un Paese dell’area Schengen e quindi la libera circolazione incontra limitazioni, ma si ritiene che il caso in questione ponga un problema che possa riproporsi in futuro. I naturalizzati non sono presi in considerazione dalla direttiva in questione (2004/38) e si ritiene che non applicando i principi contenuti nei trattati si penalizzi chi acquista la cittadinanza di uno Stato membro, negando diritti. Alla Corte, che di norma si uniforma al parere dell’Avvocato generale, l’ultima parola.