Roma – “Ora la crisi è alle nostre spalle”, parola del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Ieri, ritirando un titolo ad honorem all’università di Tel Aviv, in Israele, Draghi ha indicato che “la ripresa dell’Eurozona è solida e sempre più ampia fra i Paesi e i settori” dell’economia, tanto da aver fatto registrare “cinque milioni di impiegati in più rispetto al 2013”, segno che, almeno nell’Area euro nel suo insieme, anche i livelli occupazionali stanno tornado a salire verso i valori pre-crisi.
Si tratta di segnali che la politica monetaria ‘accomodante’ di Francoforte si avvia a conclusione. Segnali confermati anche dal resoconto della riunione del board della Bce dell’aprile scorso, in cui si evidenzia il “generale” consenso sul fatto che i rischi continuino a seguire un trend di diminuzione, e una altrettanto “ampia” condivisione, sebbene non unanime, sulla solidità del percorso inflattivo verso il 2 per cento (il livello ‘sano’ per la Bce) che si sta registrando.
A confermare l’orientamento di cambiare rotta alla politica monetaria è Benoît Cœuré, consigliere esecutivo della Bce, in una intervista alla Reuters pubblicata anche sul sito dell’Istituto di Francoforte. “Abbiamo sostenuto che sarebbe servito del tempo” perché gli effetti della politica monetaria espansiva si trasmettessero “a ogni economia dell’Eurozona, in particolare tra i Paesi”, e “adesso stiamo vedendo questo”, ha dichiarato. Se ciò produrrà effetti sulle politiche future, ha indicato ancora, “dipenderà da quanta fiducia avremo nel fatto che la dinamica dei prezzi si stia consolidando verso un punto in cui l’inflazione sarà sostenibilmente convergente verso l’obbiettivo del 2%”.
La questione sarà dunque discussa ancora nel board della Banca centrale, che si riunirà il prossimo 8 giugno, dov’è difficile che quella “ampia” condivisione sulla solidità dell’aumento dei prezzi si trasformi subito in unanimità, ma certamente si inizierà a considerare come invertire la politica economica se nei prossimi mesi la spinta inflattiva continuerà a essere confermata e generalizzata nell’Area euro. Alcuni, guidati dalla Germania che ha già chiesto la fine del quantitative easing, vorrebbero una rapida inversione. Altri, tra cui è facile immaginare l’Italia – uno dei principali beneficiari dell’effetto calmierante del programma di acquisti di titoli di stato sul tasso di interesse – premono per un passaggio più graduale.
Proprio su questo punto, tuttavia, Cœuré ha ammonito: “In politica monetaria c’è sempre la tentazione della gradualità”, ha spiegato, “ma un’eccessiva gradualità comporta il rischio di una correzione del mercato più forte quando la decisione viene finalmente presa”. Quindi “c’è il rischio che la nostra comunicazione non aderisca alla realtà economica e questo potrebbe causare una marcata correzione del mercato”. Il punto, dunque, sembra essere come e in che tempi comunicare l’inversione di rotta senza scatenare una tempesta finanziaria che, tra le principali vittime, annovererebbe con ogni probabilità l’Italia.