Bruxelles – Il numero di foreign fighters europei che va in Siria e in altre aree di combattimento è diminuito fortemente rispetto a 18 mesi fa, ma c’è una seconda ondata di combattenti addestrati per più tempo dall’Isis e quindi pericolosissimi in caso di un ritorno in Europa. Lo ha sostenuto Jean-Paul Laborde , direttore esecutivo del comitato Anti-terrorismo dell’Onu (Cted) nel corso di un briefing alla sede regionale delle Nazioni Unite a Bruxelles. “Il flusso di ‘foreign fighters’ (ossia i cittadini che dall’Europa vanno in Siria per unirsi alle fila dell’Isis) è diminuito del 90% rispetto ad un anno fa circa. C’è stato anche un calo pari a un terzo di ritorni in Europa grazie all’impegno comune dell’Ue”, ha spiegato Laborde. “Molti giovani sono andati a combattere solo per farsi una foto e sono tornati indietro dopo poche settimane delusi, anche se a volte l’Isis preferiva eliminare fisicamente le persone inadatte a combattere”.
Il problema dei foreign fighters non può però ancora dirsi risolto. C’è infatti “una seconda ondata di combattenti che sono nelle aree di conflitto da anni. Si tratta di persone più devote alla causa, addestrate e con esperienza maturata sul campo”, ha messo in guardia il funzionario dell’Onu. “Il loro ritorno quindi è molto più pericoloso rispetto a quello della prima onda”. “L’Isis ha avuto inoltre più tempo per affidarsi a network di organizzazioni criminali per organizzare il loro ritorno in Europa”, ha sottolineato Laborde, che ha poi aggiunto: “Tra il 40 e 50% dei foreign fighters hanno fatto ritorno secondo i dati dei Paesi Ue. Alcuni hanno compiuto semplicemente il viaggio in senso opposto, altri sono tornati nei Paesi d’origine delle loro famiglie, altri ancora si sono recati in altre zone di conflitto, come in Afghanistan. I dati che abbiamo non sono precisi su questo aspetto”, ha detto il direttore del Cted, ammonendo: “Nonostante le restrizioni di viaggio consideriamo che alcuni combattenti riusciranno comunque a passare i confini e tornare indietro”.
Quello che è certo è che per far fronte al fenomeno terroristico non bastano soluzioni nazionali. “Serve una cooperazione internazionale molto forte non solo nell’Ue ma anche coi Paesi che circondano le zone conflitto. Non dobbiamo essere eurocentrici in questo caso”, ha detto Laborde. Inoltre “è fondamentale che gli Stati applichino le convenzioni internazionali anti-terrorismo. Ad esempio soltanto la metà dei Paesi nel mondo ha adottato l’Api (il sistema mondiale di registrazione dei dati dei passeggeri aerei, ndr). Alcuni Stati non hanno ancora adottato le convenzioni necessarie o le hanno adottate ‘in fretta’ per rispondere agli attacchi terroristici”, ha lamentato il funzionario Onu. Altro passo cruciale nella lotta a organizzazioni come l’Isis è il controllo del web: “Con la perdita di territorio, lo Stato islamico trasferirà la sua guerra online, bisogna agire di conseguenza. Per esempio Microsoft ha già deciso di non aprire un account a chi fa parte della lista degli appartenenti a Daesh e Al-Qaeda”.
Una battuta conclusiva, infine, sul pericolo dei computer portatili sui voli, che secondo gli Stati Uniti potrebbero essere sfruttati dai terroristi per piazzare bombe in cabina (da cui lo stop sui voli dall’Europa). C’è davvero da temere? “Non sono sicuro che l’Isis ne abbia la capacità, ma altre organizzazioni potrebbero aiutarli. Quello che mi preoccupa è il loro legame col crimine organizzato”, ha concluso Laborde.