Bruxelles – L’Italia sta già pagando centinaia di milioni di euro all’anno per le multe dovute all’Ue a causa delle infrazioni alle norme ambientali, in particolare per la mancata approvazione di un nuovo piano adeguato per la gestione dei rifiuti in Campania e per le discariche abusive ancora attive sul territorio nazionale; ma rischia di dover pagare molto di più, quasi una “manovrina” finanziaria, per l’inadeguatezza o l’assenza degli impianti di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane in un gran numero di centri abitati, mentre nelle ultime ore si sono aperti altri due fronti nel contenzioso con Bruxelles sulle eco-infrazioni.
La Commissione europea ha deciso ieri il deferimento dell’Italia alla Corte europea di Giustizia per non aver bonificato o chiuso 44 discariche di rifiuti non a norma in cinque regioni: Abruzzo (11 discariche), Basilicata (23), Campania (2), Friuli-Venezia Giulia (5) e Puglia (5). In questo caso, le discariche nel mirino della Commissione non sono quelle abusive, ma quelle cosiddette “pre-esistenti”: autorizzate e già in funzione prima del 16 luglio 2001, tutte queste discariche avrebbero dovuto essere chiuse o adeguate alle nuove norme di sicurezza Ue introdotte nel 1999 (direttiva 1999/31/Ce), ma 18 anni dopo l’Italia non è ancora riuscita a farlo.
Inoltre, sempre ieri, l’Esecutivo comunitario ha deciso l’invio all’Italia di un “parere motivato”, ultimo avvertimento prima del deferimento alla Corte di Giustizia, per non aver assicurato che le acque reflue siano adeguatamente raccolte e trattate in ben 758 agglomerazioni urbane con più di 2.000 abitanti, distribuite in 18 regioni.
In realtà, questo è il secondo “ultimo avvertimento” di Bruxelles, visto che la Commissione ha preferito l’invio di un parere motivato “complementare” (dopo quello analogo già deciso nel 2015) invece di deferire anche in questo caso l’Italia alla Corte Ue, come avrebbe potuto fare. E come probabilmente farà presto, se dall’Italia non verranno risposte convincenti e un’accelerazione dello sforzo di messa a norma.
Sulle acque reflue ci sono già altri due dossier aperti, uno dei quali è una vera e propria bomba a orologeria che la Commissione potrebbe innescare in qualsiasi momento, e che potrebbe costare presto allo Stato nuove multe fino a 350.000 euro al giorno.
L’Italia sta già pagando 120.000 euro al giorno per il trattamento inadeguato dei rifiuti in Campania e 42,8 milioni di euro ogni sei mesi per non aver ancora chiuso tutte le discariche abusive, dopo due condanne della Corte di Giustizia pronunciate nel luglio 2015 per il primo caso e nel dicembre 2014 per il secondo.
Per questi due dossier, a partire dalle condanne, l’Italia ha già pagato rispettivamente 86,12 e 162,4 milioni di euro, comprensivi delle due multe forfettarie di 20 milioni di euro per i rifiuti in Campania e di 40 milioni di euro per le discariche abusive. Unica nota positiva: la multa semestrale per le discariche è decrescente, nel senso che viene decurtata di 400.000 o di 200.000 euro per ogni impianto abusivo che viene chiuso, a seconda che contenga o no rifiuti pericolosi.
La “bomba a orologeria” riguarda invece il trattamento inadeguato delle acque reflue in 80 agglomerati urbani italiani con più di 15.000 abitanti: il contenzioso è stato aperto con una decisione di Bruxelles del 2004 a cui, dopo una prima condanna della Corte di Giustizia, è seguito nel 2016 un secondo deferimento ai giudici comunitari per non esecuzione della sentenza.
Nella decisione su questo secondo ricorso, l’8 dicembre scorso, l’Esecutivo Ue ha chiesto alla Corte di infliggere all’Italia una multa forfettaria di 63 milioni di euro e una sanzione giornaliera di 347.000 euro, da pagare fino alla definitiva messa a norma degli impianti di trattamento delle acque reflue. La Commissione non ha ancora depositato questo secondo ricorso alla Corte, ma sembra inevitabile che lo faccia, visto che si calcola che ci vorranno circa otto anni per realizzare le gare d’appalto, aprire i cantieri e costruire o adeguare gli impianti necessari in tutti i comuni interessati. L’Italia, alla fine, potrebbe dover sborsare circa un miliardo di euro per le multe, sempre che non ci voglia più tempo per mettersi in regola.
Il terzo dossier sulle acque reflue è meno allarmante, e sta registrando buoni progressi. Riguarda i centri urbani con più di 10.000 abitanti che scaricano le acque reflue non adeguatamente trattate in “zone sensibili”, che inizialmente erano 40 ma che sono stati ridotti ora a 20. Il contenzioso era stato aperto dalla Commissione con una decisione del 2009, ma dopo la prima condanna della Corte di Giustizia nell’aprile 2014 è ora improbabile, visti i progressi registrati, che l’Esecutivo Ue deferisca l’Italia alla Corte una seconda volta per non esecuzione della prima sentenza.
Il governo sembra cosciente della posta in gioco in questi due contenziosi sulle acque reflue: dopo aver stanziato 2,5 miliardi di euro, messi a disposizione delle autorità locali, ha anche deciso di nominare un commissario unico per il coordinamento dei lavori e per accelerare la messa a norma degli impianti di depurazione.
Tuttavia, la nomina del commissario, il professor Enrico Rolle, non è ancora stata formalizzata. E soprattutto il commissario unico rischia però di non avere poteri sufficienti per portare a termine un’opera così complessa e difficile.
Vista l’estrema urgenza e il costo per lo Stato che comporta ogni giorno di ritardo, la difficoltà di esercitare il controllo su un numero così alto di comuni, le lungaggini prevedibili per le molte gare d’appalto e il pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata nei cantieri, sarebbe opportuno che la Presidenza del Consiglio dei ministri pensasse a poteri straordinari paragonabili a quelli conferiti all’Anac di Raffaele Cantone per l’Expo di Milano. Anche per sottolineare la priorità che dovrebbe essere attribuita alla soluzione di questa vicenda.