Roma – Anche dopo la parziale marcia indietro sugli Eurobond, fatta dopo il colloquio con la cancelliera Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron continua a rappresentare una spinta al cambiamento delle politiche economiche dell’Ue e dell’Eurozona, pur se il dibattito rimarrà pressoché fermo fino alle elezioni tedesche. È quel che pensa il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi.
Intervistato da Eunews, l’esponente dell’esecutivo non si sbilancia sulla discussione, avvenuta anche in seno alla Commissione Ue, in merito alla definizione di nuove regole per il calcolo degli obbiettivi di bilancio dei Paesi membri – e dunque sull’entità della prossima manovra finanziaria – e non si fa illusioni sul fatto che l’Area euro possa essere riformata entro la fine dell’estate. La conseguenza è che per varare la Legge di bilancio 2018, bisognerà tener “presente qual è la realtà politica e giuridica europea di oggi”, anche se è da escludere “in maniera categorica” che conterrà aumenti di tasse.
Sottosegretario, Macron ha incontrato Merkel e si è rimangiato l’idea degli Eurobond. Si sta già ridimensionando la sua portata innovatrice in cui molti, incluso lei, sembravano confidare per cambiare l’Ue?
No, non si sta ridimensionando. Sul punto specifico, ha detto semplicemente che quando guarda alla mutualizzazione del debito non guarda a quello passato ma a quello futuro. Però, la questione centrale su cui Macron può fare la differenza, e noi vogliamo farla con lui, è di insistere nell’immediato su una politica di investimenti molto più efficace, finalizzata allo sviluppo, e di preparare il terreno per aprire un processo vero di riforma della Zona euro. Il fatto che Macron e Merkel abbiano superato e ignorato le obiezioni di Schäuble – il quale ritiene che oggi non si possa assolutamente aprire il tema della revisione dei trattati – e abbiano voluto manifestare una loro volontà politica di avviare dall’autunno una riforma seria dell’Eurozona, dicendo che se è necessario sono disposti anche ad aprire il tema della revisione dei trattati, vuol dire che non si pongono tabù. È una manifestazione di lungimiranza e volontà politica e dimostra che i temi della Zona euro vanno affidati ai leader politici e non possono essere lasciati ai ministri dell’Economia e delle Finanze. Credo che da questo punto di vista rimanga la spinta innovativa di Macron. Certo, occorre vedere i fatti, ma credo che se farà quello che ha detto anche a Berlino, saranno fatti positivi e innovativi per l’Europa.
Francia e Germania concorderanno una road map per rafforzare l’Eurozona. Cosa deve contenere perché il governo italiano la appoggi?
Dovrebbe mettere al primo punto una nuova politica per gli investimenti. Vuol dire andare ben oltre il Piano Juncker, con nuovi strumenti a livello europeo, penso a una vera e propria unione degli investimenti, basata su investimenti pubblici e privati, e per la Zona euro un bilancio o delle risorse specifiche per promuovere gli investimenti produttivi, le infrastrutture e la crescita.
A chi andrebbe affidato questo budget?
Ci arrivo. Riteniamo anche fondamentale che vengano riviste tutte quelle regole che, in particolare dal 2011, hanno complicato moltissimo la gestione dei bilanci nazionali e i rapporti tra Stati membri e Commissione. Tutte le regole dal 2011 in poi, secondo noi, sono in parte superate e in parte hanno mostrato la loro inefficacia. Quindi bisogna ripensarle. Poi – e rispondo all’altra domanda – questo nuovo approccio va affidato a un ministro dell’Economia che potrebbe anche essere un vicepresidente della Commissione europea, sul modello dell’alto rappresentante per la Pesc. Una figura che dovrebbe agire in modo trasparente, sotto il controllo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali. Inoltre, siamo d’accordo, e lo abbiamo detto prima di Schäuble, che per la gestione delle crisi occorra creare un Fondo monetario europeo. Le prossime crisi non possono essere gestite anche dal Fondo monetario internazionale, occorre avere uno strumento di gestione delle crisi propriamente europeo. Infine, ci deve essere un impegno per un’unione sociale. Noi riteniamo che in questa road map occorra indicare chiaramente quali misure concrete, quali passi concreti vogliamo compiere nei prossimi mesi e anni per realizzare l’obbiettivo che ci siamo dati il 25 marzo di quest’anno.
Come deve essere questa unione sociale?
Noi vorremmo un sussidio europeo di disoccupazione, misure che facilitino la conciliazione tra famiglia e lavoro, come il congedo parentale fino a 4 mesi non interscambiabile tra uomo e donna, una revisione della direttiva sui lavoratori distaccati, che oggi crea delle tensioni in varie società e in vari Stati membri, in particolare nei Paesi più avanzati.
Vuole rivedere le regole economiche adottate dopo il 2011, e in altre sedi ha parlato di un ritorno al Trattato di Maastricht, il che vorrebbe dire cancellare il Fiscal compact.
Quest’anno, dopo 5 anni dalla sua adozione, è prevista una valutazione del Fiscal compact, alla luce della quale dobbiamo decidere se e come inserirlo nei trattati. Senza modifiche noi siamo contrari all’inserimento del Fiscal compact nei trattati, ma pensiamo che questa opportunità della valutazione debba essere utilizzata per rivedere molte delle regole economiche. Un dibattito in parte già avviato con la lettera di Padoan e di vari suoi colleghi in cui si contesta il metodo di calcolo del cosiddetto output-gap, che è solo un esempio del fatto che, dal 2011, siano state varate delle regole a livello tecnico inefficaci e contestabili. Io ritengo si debba aprire un dibattito su tutto quello che è stato fatto dal 2011 in poi, vedere cosa ha funzionato e cosa no, tenendo presente che i trattati ci impongono il tetto del 3% per il rapporto deficit/Pil e del 60% per il rapporto debito/Pil. Tutto quanto è arrivato dopo è frutto della scelta politica e non di obblighi derivanti dai trattati.
Sulla richiesta di cambiare la cosiddetta “matrice” per il calcolo dell’output-gap, e dunque degli obbiettivi di bilancio dei Paesi membri, le due anime della Commissione europea, quella più rigorista e quella meno austera, avrebbero raggiunto una mediazione: la matrice al momento non si tocca, ma si introdurranno nuovi elementi di flessibilità. È un compromesso soddisfacente?
So che c’è stata una discussione all’interno del Collegio dei commissari, ma non ho informazioni specifiche rispetto alla soluzione da lei prospettata. Però, il fatto stesso che all’interno della Commissione ci sia stata una discussione aperta su questo – ed è un confronto che deve proseguire anche nell’Ecofin, perché sono anche i ministri economici che hanno elaborato queste regole – dimostra che è giusto aprire un dibattito su quanto è stato fatto dal 2011. Altrimenti i commissari non avrebbero avuto un’ampia discussione su questo e non ci sarebbero stati otto o nove governi a sollevare la questione. Questo passaggio non fa che confermare che i tempi sono maturi ed è necessario rivedere tante delle regole introdotte dal 2011 in poi.
Quanto peseranno le elezioni tedesche sul negoziato per le nuove regole sull’output gap?
Tante delle riforme di cui abbiamo parlato, tranne forse la questione degli investimenti, potranno essere messe sul tavolo delle trattative solo dopo le elezioni tedesche. Credo che anche questo dato sia emerso dal vertice franco-tedesco di Berlino. Macron e Merkel hanno fissato degli obiettivi e anche un metodo, ma credo che un reale lavoro e un reale negoziato possa essere avviato solo dopo le elezioni tedesche.
Non rischia di essere troppo tardi per l’Italia? Con le regole attuali, la prossima legge finanziaria si preannuncia molto pesante. Sarà difficile fare l’aggiustamento necessario solo con tagli di spesa e lotta all’evasione, senza prevedere in qualche modo un aumento della pressione fiscale.
Quest’ultima ipotesi la escludo in maniera categorica. Certamente sarà una legge che dovrà continuare quanto fatto finora. Bisognerà consolidare una crescita che è finalmente tornata ma è ancora debole. Si dovrà continuare la lotta all’evasione e all’elusione fiscale, che finora ha portato risultati importanti, sanciti anche dall’Ocse e dalla Commissione europea. Sarà necessario anche proseguire nella revisione della spesa. Poi, è evidente che non possiamo pensare a una riforma della Zona euro nell’arco di un’estate, quindi dobbiamo lavorare sulla Legge di bilancio tenendo presente qual è la realtà politica e giuridica europea di oggi. Non si può pensare che da qui a ottobre ci sia una riforma dell’Eurozona, ma noi dobbiamo continuare a livello nazionale a lavorare sulle nostre scelte: crescita, lotta alla disoccupazione e alle disuguaglianze sociali. A livello europeo, grazie anche alla forte spinta che Macron ha già iniziato a dare alla riforma dell’Unione europea, dobbiamo continuare a lavorare sulla nostra linea, quella di cambiare l’Europa per salvarla.