Roma – “Chiediamo all’Unione europea di sbloccare i ricollocamenti” dei rifugiati, “o lo fanno loro o lo faremo noi, da soli, e quei 16 miliardi che diamo all’Ue” come contributo al bilancio comunitario, “li terremo noi”. Il vicepresidente della Camera, il pentastellato Luigi di Maio, riecheggia le minacce già avanzate dall’ex presidente del Consiglio sul rispetto dell’accordo per la redistribuzione dei richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia.
Intervenuto solo telefonicamente alla conferenza stampa organizzata dagli europarlamentari M5s a Strasburgo – e senza per altro lasciare ai giornalisti presenti la possibilità di fare domande – Di Maio si è rivolto anche al rinnovato “asse franco-tedesco”, chiedendo “a Macron e Merkel se ci vogliono dare una mano”. “Inizino a dare sanzioni ai Paesi che non rispettano i ricollocamenti per quota”, intima, sebbene il compito di proporre eventuali sanzioni spetti alla Commissione europea e non a singoli Stati membri.
Così come l’Ue mostra una “totale incapacità” nella gestione dei flussi migratori, i cinquestelle imputano anche al governo italiano la stessa inadeguatezza. Partendo dall’inchiesta che ha portato a 68 misure di custodia cautelare per la gestione del Centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto, nel crotonese, il movimento chiede le dimissioni del ministro degli Esteri, Angelino Alfano, accusandolo di essere stato a conoscenza delle “criticità” di quel centro sin dal 2014, quando la pentastellata Laura Ferrara inviò un esposto a seguito di una ispezione fatta in qualità di eurodeputata europea della commissione Libe.
Di Maio si lascia poi prendere da un impeto giustizialista. “Non possiamo aspettare sentenze definitive, dobbiamo agire per fermare quello che è sotto gli occhi di tutti”, tuona. La sua idea è di “sospendere subito i finanziamenti ai privati che gestiscono l’accoglienza in Italia. Da domani non deve essere dato più un soldo”, rincara. “Lasciamo finanziate le realtà gestite direttamente dallo Stato e se serve potenziamole”, ma le “strutture private assumano una regia pubblica di gestione”. Al contempo, “devono iniziare ricollocamenti e rimpatri”, che per il vicepresidente della Camera “non si fanno perché ogni ricollocamento fa perdere soldi a queste strutture private”. Anche qui una forzatura, perché i ricollocamenti sono lenti per le resistenze dei partner europei, e i rimpatri si scontrano con l’assenza di accordi bilaterali con i Paesi terzi che dovrebbero riaccogliere i migranti irregolari.
Infine, Di Maio non perde l’occasione per tornare ad attaccare “la ambulanze del mare e i taxi del mare”, come definisce le navi di alcune Ong che fanno salvataggi nel Mediterraneo ma che opererebbero a suo avviso in modo opaco. “Nessuna nave delle Ong che non presentano bilanci trasparenti può approdare in un porto italiano”, sentenzia. E sebbene dica che “noi li vogliamo salvare i morti in mare” (sic), la sua priorità è “chiudere la rotta del mediterraneo come sono state chiuse altre rotte in passato”.