Bruxelles – L’allarme terrorismo è la nuova chiave che qualcuno nel Parlamento europeo ha trovato per spendere qualche centinaio di milioni in opere edilizie Il quotidiano Repubblica annuncia oggi che esiste uno studio che gira de qualche mese nell’Eurocamera secondo il quale in caso di attacco terroristico (cioè una bomba ben piazzata) uno degli edifici, chiamato Paul Henri Spaak, verrebbe giù tutto, come un domino. E per questo motivo, che appare sacrosanto, bisogna fare pesanti interventi che costerebbero, appunto qualche centinaio di milioni ai contribuenti: non meno di 100, ma forse 300 o magari di più se si dovesse ricostruire tutto.
“Appare sacrosanto” abbiamo scritto perché la storia è un po’ meno chiara, in realtà. Già alla metà del 2015, senza neanche accennare al rischio terrorismo, il segretario generale del parlamento europeo Klaus Welle presentò una relazione nella quale sosteneva che l’edificio doveva essere per lo meno pesantemente ristrutturato, se non proprio abbattuto e ricostruito. Qualche dubbio però era nato già allora, perché il palazzo è stato costruito da privati come centro congressi solo nel 1993 e poi acquistato dal Parlamento ed è costato un miliardo di euro. Non noccioline, non spese nella notte dei tempi. Il tranquillo Welle non dice, mai, che il Parlamento è stato truffato da palazzinari imbroglioni che hanno usato materiali scadenti, no. Sostiene in tutta serenità che è normale che dopo vent’anni un palazzo non si regga più in piedi, neanche in Belgio, dove il settore delle costruzioni è sempre in gran fermento, e le gru fanno parte del panorama standard di Bruxelles.
No, non è normale invece. “La Houses of Parliament di Londra ha 150 anni e solo ora stiamo avendo un serio dibattito su una completa ristrutturazione”, raccontava nel 2015, quando Eunews scrisse di questa vicenda Ashley Fox, leader dei Tory britannici al Parlamento europeo: “Ad un osservatore casuale – aggiungeva – non c’è nulla che non vada nell’edificio quindi spero che i funzionari non spendano soldi solo perché possono farlo”. A dire il vero qualche problema c’è stato: una parte del solaio dell’Aula nel 2012 era venuta giù e fu ricostruita, ogni tanto qualche tubatura perde, un paio di volte sono state trovate infestazioni di legionella nelle docce. Ma il palazzo sembra solido e dunque: o è stato costruito male, ed è stato comprato senza condurre le necessarie verifiche sulla qualità, e questo va detto chiaramente ai cittadini, oppure qualche cosa non torna nella frenesia ricostruttiva di questi anni.
Il presidente del Parlamento nel 2015 era il tedesco Martin Schulz, che non sembrava affatto convinto della necessità di ricostruire, e dunque prese tempo, chiedendo nuove indagini. La patata bollente è finita ora sul tavolo del suo successore, Antonio Tajani, il quale (benché durante la presidenza Schulz fosse responsabile proprio della sicurezza) sembra anche lui poco incline a spendere tanti soldi. Ma, a quanto pare, un paio di studi confermerebbero che l’edificio è insicuro. Continua però ad essere difficile spiegare come sia “naturale”, che dopo vent’anni un palazzo costruito correttamente stia per crollare. Dunque la novità ora è il rischio terrorismo.
L’iniziale giustificazione presentata da Welle evidentemente non ha convinto tutti. In una relazione di due anni fa ai vicepresidenti del Parlamento il segretario generale scriveva che “nel 2019 la durata di vita dell’edificio Spaak volge al termine. Gli studi tecnici condotti durante la scorsa legislatura hanno dimostrato che un edificio di questo tipo, costruito con i materiali disponibili e nel rispetto dei vincoli che si applicavano al momento, ha una vita utile media di 20 anni, dopo di che è necessaria una profonda ristrutturazione se si vuole che l’edificio continui a soddisfare le esigenze tecniche, economiche e politiche”. Welle aggiungeva altri dettagli, sempre più preoccupanti circa la qualità dei passati lavori: “Il Parlamento in questo periodo – scriveva – è costretto ad affrontare, ogni giorno, problemi legati allo stato di generale degrado della costruzione ai suoi difetti di costruzione (ad esempio la struttura del soffitto in legno dell’Aula, perdite d’acqua, rotture degli impianti di riscaldamento”.
Nelle motivazioni c’era anche quella di rendere disponibili più uffici, nel caso che nuovi Paesi membri si aggiungessero all’Unione. Di fatto però ora i Paesi diminuiranno, con l’uscita della Gran Bretagna e dei suoi 73 deputati, dunque, se mai qualcuno dovesse entrare (e al momento non è aria) il posto ci sarebbe, anche perché in lista non ci sono altri Paesi grandi come il Regno Unito, e dunque gli eventuali nuovi deputati sarebbero meno di 73, dato che il numero dei parlamentari è fissato in base alla popolazione.