di Niccolò Biondi
Il nuovo presidente francese è espressione di una visione politica e culturale che è responsabile dell’attuale crisi occidentale e della diffusione su larga scala delle pulsioni xenofobe e neofasciste: quella visione per cui la società non esiste, esistono solo gli individui e le famiglie (non a caso la Thatcher è un riferimento politico di Macron), e lo Stato deve essere ridotto al minimo nella sua funzione di regolamentazione dell’economia e di influenza perequativa nel conflitto distributivo. Le diseguaglianze naturali (di ceto sociale di provenienza, di capitale economico e finanziario a disposizione della famiglia in cui si nasce, di luogo di nascita) ci sono, e tali devono restare su larga scala: non ci deve essere alcuno Stato capace, attraverso il sistema pubblico di servizi e ordinamenti normativi appositi, di riequilibrare le differenze socioeconomiche tra gli individui e le famiglie; la società, col suo ordine e le sue gerarchie di potere, deve essere un risultato impersonale e naturale delle forze di mercato e del libero dispiegarsi delle iniziative individuali, al punto che il programma massimo del neoliberismo (oggi realizzatosi) è lo scollamento tra politica e potere, potere che deve essere gestito e distribuito dalle dinamiche economico-finanziarie e non da istituzioni pubbliche che ricevano un mandato elettorale allo scopo.
Nasci ricco, è molto probabile che tu muoia benestante; nasci povero, è molto probabile che morirai indigente. La speranza della mobilità sociale, che tanta importanza aveva avuto nella crescita economica del secondo Novecento e soprattutto nella tenuta psicologica ed emotiva di intere generazioni cresciute nella prima epoca umana di nichilismo e mancanza di certezze esistenziali (un sottofondo psicologico ed emotivo, che oggi non a caso ci sta esplodendo tra le mani, che suona più o meno così: «Non abbiamo Dio e abitiamo una vita precaria senza sapere perché e per quale scopo, ma quantomeno posso dedicare la mia vita al miglioramento delle mie condizioni materiali»), non è più un patrimonio collettivo: ogni tanto qualche individuo fonda la sua start-up innovativa, che rivende a suon di milioni di euro/dollari alla multinazionale di turno che ne percepisce la pericolosità per la propria posizione di mercato (a proposito di sistema che produce competizione), e questo basta alle élite dirigenti per tessere le lodi del sistema.
Macron è rappresentante di quell’élite socio-economica, ambientalista un po’ a modo suo, che ha fatto due calcoli: a questo tasso di crescita, entro il 2100, l’umanità va incontro all’esaurimento delle risorse naturali e quindi all’estinzione di massa; meglio arrestare l’ascesa della classe media, il principale motore dell’economia di consumo e di conseguenza il principale responsabile del consumo delle risorse, così rallentiamo l’inquinamento ambientale. Uno straordinario e cinico programma ambientalista sui generis: meno redditi per la classe media, meno consumi sul mercato, meno consumo delle risorse ambientali. Al fine di creare un’economia di beni e servizi d’élite, sempre più ristretta: che buone le zucchine bio a 14 euro al chilo comprate nei negozi bio del quartiere Marais di Parigi. L’1% mangia bio, il 99% a volte manco mangia: ma quantomeno noi umani abbiamo qualche speranza di conservare la specie oltre il 2100, volete mettere?
Macron, infine, è espressione di quella visione politica che vuole il lavoro dipendente sempre più precario e flessibilizzato: i lavoratori devono non solo essere più facilmente licenziabili, ma devono anche accettare di lavorare più a lungo per lo stesso salario. Poi si va a vedere i dati storici, e si vede che dalla fine degli anni ’70 la produttività del capitale cresce esponenzialmente senza che ci sia un corrispettivo aumento del reddito da lavoro, il che significa che una quota sempre crescente di valore è incamerata dal capitale invece che essere spartita con la forza lavoro: ma son quisquilie, cari lavoratori, lavorate di più a testa bassa e zitti.
Questo sarebbe il riferimento politico e culturale dei progressisti nostrani. Un “progressismo” all’insegna della solitudine della persona di fronte all’economia ed allo Stato, della flessibilizzazione del mercato del lavoro e della conseguente precarizzazione dell’esistenza che diviene praticamente non gestibile e progettabile dall’individuo, dello smantellamento dei diritti sociali che sono stati la grande conquista del Novecento e dei “fronti antifascisti” (a proposito di fronti repubblicani contro le estreme destre).
Ditelo apertamente: se Macron è il riferimento del progressismo moderato ed illuminato, ci volete proprio tutti estremisti e “populisti”. Sappiate che tanti italiani, normalissime e civilissime persone cui passiamo accanto ogni giorno, finiranno per ingoiare il boccone amaro e votare forze estremiste anti-sistema, accettando anche la xenofobia e il peggior oscurantismo pur di arrestare questa deriva neoliberale dell’Occidente. È un male, semplicemente, che vi sarete cercati. Anche perché, poi, andate raccontando che l’estrema sinistra è uguale all’estrema destra, e allora… tanto peggio tanto meglio, un discorso che personalmente non condivido ma che tantissimi, purtroppo, saranno costretti a fare per una pura questione di sopravvivenza.