di Giacomo Russo Spena
Il mondo si è svegliato macroniano. Giubilo e felicità. Ha trionfato il bene contro il male. E allora piovono editoriali e commenti su giornaloni e siti a magnificare Emmanuel Macron, l’uomo della provvidenza. Giovane, rampante, volto pulito e sbarazzino ha il merito di aver arginato l’avanzata del populismo xenofobo in salsa lepeniana. L’europeismo ha trionfato contro il neosovranismo. «I francesi hanno fatto la scelta per un futuro europeo», ha dichiarato il presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker. Il ministro Angelino Alfano ha twittato invece:
Intanto il PD renziano lo assume come paradigma per rilanciare un nuovo “riformismo europeo” (per dirla alla Gennaro Migliore).
Piace perché è il nuovo che avanza sulle ceneri di un sistema ormai al collasso. La pasokizzazione dei socialisti francesi lo conferma, la crisi del gollismo, incapace di arrivare persino al ballottaggio, anche. Gli storici partiti, in Francia come altrove, non sono più in grado di rispondere alle istanze di una cittadinanza che invoca cambiamento rispetto al passato. Definendosi né di destra né di sinistra, col suo linguaggio moderno e opposto ad un sistema partitico incancrenito, Macron ha puntato su innovazione e competenze, ricette che l’hanno portato a stravincere contro il pericolo Marine Le Pen.
Ma la domanda da porsi è: qual è l’Europa che ha in mente il nuovo presidente francese? E, soprattutto, Macron incarna veramente il “nuovo che avanza”?
A leggere biografia, programma e dichiarazioni, siamo di fronte ad un caso gattopardesco. Dietro quell’idea di rottura con l’establishment, si nascondono infatti esattamente gli stessi blocchi di potere e di interessi economici. Dopo la prima tornata elettorale Marta Fana e Lorenzo Zamponi spiegavano su Internazionale come il successo di Macron fosse poco caratterizzato sul piano tematico e politico e ben identificato sul piano sociale e culturale: «La sua rendita si basa, di fatto, sulla debolezza di Hamon e Fillon, e sull’ampia visibilità garantitagli dai mezzi d’informazione, che ne hanno fatto l’alternativa più a portata di mano per l’elettorato moderato. Per lui hanno votato sostanzialmente le parti meno in difficoltà della società francese, spaventate dall’ascesa dei populisti di destra e di sinistra e, in parte, dalla possibilità che siano messi in discussione determinati interessi, in particolare in campo immobiliare».
Macron non sembra rappresentare un’inversione di rotta nell’Europa dell’austerity. Alla contentezza di Junker per la sua vittoria si è aggiunta subito quella della leader Angela Merkel che ha parlato di rafforzamento dell’asse franco-tedesco. Nel programma economico Macron ha annunciato, tra le varie misure, di voler tagliare 120mila funzionari pubblici, oltre a proporre una nuova riforma del lavoro. La legge Loi Travail, motivo di dure proteste giovanili in Francia, è una sua filiazione politica e, ora, il nuovo inquilino dell’Eliseo è pronto addirittura ad irrigidire alcune norme in materia. La sua svolta graverà dunque in primo luogo sui lavoratori e sui soggetti sociali più deboli, che già oggi hanno inscenato manifestazioni di protesta.
Come afferma l’economista Emiliano Brancaccio: «Macron incarna l’estremo tentativo del capitalismo francese di aumentare la competitività, accrescere i profitti e ridurre i debiti per riequilibrare i rapporti di forza con la Germania e stabilizzare il patto tra i due paesi sul quale si basa l’Unione europea. Al di là degli slogan di facciata, cercherà di sfruttare il crollo dei socialisti e lo spostamento a destra dell’asse della maggioranza parlamentare per promuovere le riforme che gli imprenditori francesi invocano e che, a loro avviso, Hollande ha portato avanti con troppa timidezza».
Il pensiero di Macron si ascrive appieno nel filone lib-lab capeggiato da Tony Blair, quella cosiddetta terza via entrata irreversibilmente in crisi. Adesso ci viene riproposta come il nuovo. L’establishment ha risolto così il modo per sopravvivere al crollo dei partiti tradizionali.
Le politiche dei Macron producono, come reazione, le politiche delle Le Pen, poi i Macron ci chiedono il voto utile per arginare quelle Le Pen da loro create. Un circolo vizioso, schizofrenia allo stato puro. L’austerity e il populismo si confermano una spirale, una strumentale all’altra. Con Marine Le Pen, in questa tornata elettorale, che si è dimostrata funzionale al mantenimento dello status quo: due facce dell’establishment, complementari, che si rafforzano a vicenda. O si rompe la spirale o il dibattito politico si sposterà inevitabilmente sempre più a destra.
Ci vogliono veramente candidati alternativi sia ai nuovi fascismi che all’Europa degli Junker e della finanza. Un terzo spazio. Il cambiamento non passa per i gattopardi: i Macron non sono la soluzione ma parte del problema.
Pubblicato sull’Huffington Post il 9 maggio 2017.