di Roberto Fineschi
«Ei fu, siccome immobile, / dato il mortal sospiro», e via dicendo. Così inizia la celeberrima ode manzoniana, Il cinque maggio, che tutti gli studenti italiani, molti di essi obtorto collo, hanno studiato se non addirittura imparato a memoria durante gli anni scolastici. La stessa data in cui nel 1821 a Sant’Elena morì Napoleone era stata, tre anni prima, la data in cui un altro gigante della storia era nato a Treviri: Carlo Enrico Marx. Con una qualche ironia della sorte, proprio Napoleone, insieme al nipote Napoleone III, è il personaggio storico che Marx dichiara di amare di meno rispondendo alle domande di un “album di famiglia” della figlia Jenny.
Date a parte ed in attesa delle grandi celebrazioni del prossimo anno per i 200 anni, dedicherò un paio di riflessioni all’attualità del pensiero del vecchio “Moro”, come lo chiamavano amici e familiari. Sin da subito tuttavia, è bene dire chiaramente che la teoria di Marx non ha tutt’oggi eguali per la sua capacità di comprensione e spiegazione delle tendenze di fondo del modo di produzione capitalistico, quindi della struttura della società in cui viviamo. Questo non significa ovviamente che sia perfetta, che non necessiti di essere criticata, approfondita o continuata ove necessario, come del resto il suo stesso autore auspicava; ma non significa neppure che essa non funzioni più. Anzi, nessuna meglio di essa ha delle risposte – non tutte sfortunatamente – a molti dei processi storico-economico-sociali tutt’ora in corso.
Le teorie mainstream di economia e di politica ci spiegano come il mondo dovrebbe essere: senza conflitto sociale, senza crisi economiche, senza sopraffazione e sfruttamento. Ci spiegano a chiare lettere in celebrati manuali come siano illegittime le rivendicazioni sociali, errori passeggeri le crisi e via dicendo, perché così è nel mondo armonico ed idilliaco che i loro autori costruiscono (e che ahimè gli studenti sono costretti a studiare). Per la teoria di Marx, invece, non è una sorpresa che ci siano crisi, sfruttamento, conflitto, ecc. Marx non è così banale da dire al mondo ed alle persone come dovrebbero essere, questo già lo fanno i “preti” di tutte le parrocchie, religiose o laiche; Marx spiega le cose per quello che sono. Insomma, la scienza contro l’ideologia.
La borghesia ha ancora paura del vecchio Moro. Per questo motivo, considerato il momento favorevole, si cerca di eliminarne l’eredità politica ed intellettuale ove possibile: scomparso dalle università, scomparso dal dibattito pubblico, superstite in poche cerchie. Ciononostante il maledetto non sparisce, perché? Perché è uno dei pochi ad avere delle risposte e, al bisogno, pure l’intellettualità borghese, bontà sua, gli dà ragione. La sua forza ha fatto diventare alcuni dei suoi concetti fondamentali senso comune, cultura. Queste le solide fondamenta su cui ricostruire.
Tocchiamo alcune delle questioni più attuali ed interessanti. La prima, su cui non vorrei soffermarmi a lungo ma che non si può almeno non menzionare, è che Marx è un autore nuovo. Pare incredibile ed è forse paradossale, ma solo oggi, a così grande distanza dalla sua morte, è possibile leggere per intero la sua opera per quella che è stata. Ciò grazie alla nuova edizione storico-critica delle sue opere, la Marx-Engels-Gesamtausgabe. Nonostante sia in corso di pubblicazione dal 1975, molti, inclusi vari esperti di Marx, non ne sanno niente; non si sa neppure che molte delle opere “classiche” letteralmente non esistono nella forma in cui le si sono lette storicamente. Non si tratta di opere marginali ma di scritti come i Manoscritti economico-filosofici, L’ideologia tedesca, il secondo ed il terzo libro de Il Capitale… come dire, l’ossatura di moltissime interpretazioni tradizionali. Prenderne atto è difficile, ma è anche il primo, necessario, passo per ripartire.
Uno dei punti chiave della ricostruzione critica della teoria di Marx è che essa si colloca ad un livello di astrazione molto alto, epocale. L’altro punto chiave è che questa teoria è incompiuta, un grande torso. Se intesa in questi termini, essa è tutt’altro che contraddetta dalle tendenze di fondo del capitalismo contemporaneo da una parte, ed aperta a integrazioni e ampliamenti dall’altra. Questa la prospettiva in cui, mi pare, abbia senso muoversi.
Quali sono i risultati epocali su cui Marx ci ha preso? Uno, fondamentale, la cosiddetta globalizzazione, ovvero la tendenza dell’economia mondiale ad integrarsi tanto sul piano produttivo che distributivo. Marx la prevede quando tale sviluppo era praticamente embrionale. Il secondo, altrettanto decisivo, l’incremento esponenziale della produttività del lavoro, anch’esso sotto gli occhi di tutti. Terzo, la trasformazione in salariato, non necessariamente solo in operaio, di chi lavora; l’estensione del rapporto lavoro salariato/capitale a rapporto di produzione dominante, un processo progressivo tutt’ora in atto (ciò ovviamente a prescindere dalla parvenza giuridica di tale rapporto, che quasi sempre, sotto la parvente “autonomia” del lavoratore contraente, solo nasconde forme di inasprimento del rapporto salariale). La finanziarizzazione dell’economia; questo aspetto appare drasticamente ridimensionato nell’edizione engelsiana del terzo libro, dove ciò che nel manoscritto era l’ultima sezione – “Credito e capitale fittizio” –, vale a dire il culmine dello sviluppo della teoria del capitale, viene trasformato in un mero capitolo ed annacquato in mezzo ad altri, facendo sostanzialmente perdere di vista come si trattasse del più concreto grado di sviluppo della teoria complessiva del modo di produzione capitalistico. Ancora? La crisi come elemento strutturale, organico e necessario dello sviluppo del sistema. Non basta? La scienza e l’automazione come esito inevitabile della sussunzione del lavoro sotto il capitale; proprio il contrario di quanto vogliono farci credere Marx avrebbe pensato: il capitale, contraddittoriamente, allo stesso tempo tende a ridurre asintoticamente a zero il lavoro necessario (attraverso l’aumento della produttività e quindi l’estromissione del lavoro vivo) e, contemporaneamente, basa su di esso la propria valorizzazione. Il capitale è questa contraddizione in processo. Una endemica e, progressivamente, non riassorbibile disoccupazione di massa sono conseguenza necessaria di tutto ciò. Mi fermo qui, ma si potrebbe andare oltre.
Dove non ci ha preso e perché? Consapevole dell’alto livello di astrazione della sua teoria, Marx si rese conto che mai sarebbe riuscito a svilupparla organicamente e coerentemente fino a giungere ad una concretezza che permettesse un immediato uso politico di essa. Quindi, lui per primo, saltò le mediazioni. Ciò spiega le sue fallaci previsioni sugli sviluppi politici in occidente e oriente. Il grado di avanzamento dell’articolazione della sua teoria non gli permetteva, scientificamente, di spiegare il concretissimo, ma solo le linee di fondo del generale. La mancata articolazione di molti passaggi intermedi, di teorie cuscinetto che aggiungessero lo Stato, il commercio internazionale, il mercato mondiale, e probabilmente altro ancora spiegano la fallacia delle sue previsioni politiche. Per le stesse ragioni, molti, sbagliando, hanno cercato la teoria delle classi nel primo libro; essa vi trova sicuramente un importante fondamento, ma mai bisognerebbe scordare che un capitolo dal titolo “classi” lo si trova, incompiuto, solo alla fine del manoscritto del terzo libro.
Altre questioni teoriche chiave, da sempre controverse, sono quella della trasformazione dei valori in prezzi e la caduta tendenziale del saggio del profitto. Sarebbe troppo lungo e complicato anche solo accennare a tali complessi dibattiti; quello che mi preme dire però è che una rilettura dei manoscritti per quello che sono, ovvero articolati abbozzi incompiuti, permette di rivedere in una prospettiva assai diversa non solo la soluzione, ma l’impostazione tradizionale, fortemente influenzata dalla ricezione che ne dette Boehm-Bawerk con la sua trasformazione della teoria marxiana di “Merce e denaro” in “teoria del valore-lavoro”; una definizione così influente che quasi tutti, erroneamente, pensano essere di Marx. Anche la questione della caduta tendenziale, riletta nei manoscritti, appare più complessa e legata alla loro incompiutezza nel contesto dello sviluppo di diversi livelli di astrazione.
Insomma, per farla breve, problemi complessi e in parte da risolvere di una teoria che, ciononostante, spiega molto meglio il mondo contemporaneo di quanto non facciano quelle mainstream.
Un ultimo accenno a Marx ed il marxismo: non sono la stessa cosa. Quale marxismo poi? Ce ne sono a bizzeffe ed assai variegati. Questo, ovviamente, non per dire la banalità che Marx è buono ed il marxismo cattivo. Il marxismo è stato ed è, nella misura in cui ancora esiste, il tentativo di utilizzare la teoria di Marx con finalità politiche. Talvolta il legame con Marx è assai labile, puramente ideale; in altri casi è più concreto, tangibile. In ogni caso ci sono delle mediazioni e dei passaggi che aggiungono, interpretano, estendono, ecc. I successi ed i fallimenti dei marxismi storici non sono immediatamente imputabili a Marx, tanto nel bene quanto nel male. Del resto, come si sa, il Moro, essendo uno scienziato e non un mistico veggente, ha detto assai poco della società futura e si è sostanzialmente espresso in termini assai vaghi. Ciò di cui si è occupato scientificamente è l’analisi del modo di produzione capitalistico (non del capitalismo o dei capitalismi); tale analisi, a suo modo di vedere, pone le premesse di una possibile società futura; ma Marx non costruisce castelli in aria, modelli di società perfette da mettere in piedi facilmente… dall’utopia alla scienza si diceva da qualche parte.
Ciò non significa neppure, ovviamente, sostenere che Marx non avesse espliciti interessi politici o che, scrivendo le sue opere, non intendesse contribuire ed incidere sostanzialmente nella lotta politica. È infatti proprio per la forza e per l’effetto sulla borghesia del Capitale, il “missile” che egli le scagliò contro, che ancora parliamo di lui. Ciò però non deve condurre a fallaci semplificazioni del suo pensiero in chiave politicistica, a lasciarsi schiacciare dall’ossessione dell’agire immediato, del trovar risposte pronte al qui e ora dalle singole pagine di quell’opera. Per trovare le risposte c’è una sola via da percorrere: riprendere la strada interrotta delle mediazioni, continuare il lavoro cui Marx ha pazientemente dedicato tutta la vita senza riuscire a portarlo a termine, scendere dall’astratto al concreto. Questo oggi è parte dei nostri compiti rivoluzionari ed il miglior modo per festeggiare il centonovantanovesimo compleanno del vecchio Moro.
Pubblicato su La Città Futura il 6 maggio 2017.