L’Europa tira un sospiro di sollievo, dopo Austria e Paesi Bassi anche la Francia sceglie la prospettiva europeista. I francesi hanno detto no a Marine Le Pen che prometteva un referendum sull’uscita dall’Unione europea, che voleva eliminare l’euro e tornare al Franco, che ha fatto del ritorno alla sovranità il suo cavallo di battaglia. Il prossimo presidente sarà l’europeista convinto Emmanuel Macron, che ieri sera è arrivato sulla piazza del Louvre a Parigi, dove i militanti di En Marche lo attendevano per festeggiare la vittoria, accolto dalle note della nona di Beethoven, l’inno alla gioia, che è anche l’inno europeo. Apoteosi per Bruxelles che ha visto trionfare l’uomo che più di tutti, fin dall’inizio della sua campagna elettorale, ha fatto dell’appartenenza all’Ue un punto centrale del suo programma.
Le urne dicono però che l’astensione è stata la più alta dal ’69, il 25%, e che le schede bianche o nulle mai sono state così tante, il 12%. È il segno chiaro che quello per Macron è stato tutt’altro che un plebiscito su di lui e il suo programma, ma piuttosto un voto chiaro contro Le Pen e il suo di programma. Macron al primo turno ha vinto con il 23,75%, un risultato sorprendente per un candidato che non apparteneva a nessuna delle classiche formazioni politiche, ma non certo un exploit fenomenale. Il voto per lui al ballottaggio è stato soprattutto un voto anti-Le Pen e anche qui, senza farsi illusioni, a spaventare i francesi non era certo il solo euroscetticismo della leader del Front National, ma soprattutto le sue posizioni di estrema destra. L’altro candidato ‘euroscettico’, Jean-Luc Mélenchon, al primo turno si era attestato al 19,6%, il che vuol dire che che con il 21,53% del Front National oltre il 40% dei francesi si era espresso per una prospettiva quantomeno critica nei confronti di Bruxelles. Questo non vuol certo dire che il rischio Frexit sia dietro l’angolo, anzi, la Francia è e resta un Paese pro europeo, ma ora a Macron sta il difficile compito di mantenere questa tendenza, e non sarà facile.
L’ex ministro di Hollande è visto da molti come un ultra liberista al servizio della finanza, come colui che guiderà il Paese puntando sul rigore economico, se dimostrerà di esserlo davvero non sarà un’ottima pubblicità per l’Unione. Le legislative dell’11 e 18 giugno diranno poi se Macron avrà una maggioranza in Parlamento o se dovrà fare affidamento ai voti di socialisti e repubblicani per governare, e da questo dipenderà anche la sua capacità di mettere davvero in pratica il proprio programma. Il suo quinquennio sarà decisivo, se farà bene ci saranno sempre più bandiere europee a sventolare ai comizi delle prossime elezioni, se farà male le bandiere europee potrebbero anche finire bruciate. Questo lui lo sa e ha già promesso che il suo mandato, “sarà per riformare in profondità l’Unione Europea ed il nostro progetto europeo”, consapevole che far funzionare l’Ue come ha fatto negli ultimi anni sarebbe “un tradimento”.
Anche Hollande aveva promesso mari e monti ai francesi, però una vera battaglia a Bruxelles non l’ha mai condotta, preferendo a un asse con Italia e Grecia quello con la Germania, nel quale però sembrava prevalere più la linea di Angela Merkel che la sua. E così alla fine del suo mandato il partito socialista si è ridotto a un misero 6,3% di consensi. Ma Macron non è Hollande e potrebbe fare meglio di lui, sempre che ne abbia davvero la volontà e soprattutto la capacità. Come sa bene anche Matteo Renzi, che pure punta a tornare a guidare l’Italia, tra i proclami sulla riforma dell’Europa che si fanno ai comizi, e quello che realmente si riesce a muovere nei Consigli europei, c’è un abisso. E ora più che mai, piuttosto che adagiarsi su queste vittorie elettorali e esultare perché “l’Europa è salva” ci si deve muovere per riformarla davvero questa Europa, perché non le verrà data in eterno un’altra possibilità.