Roma – Dopo la vittoria alle primarie, l’Assemblea nazionale del Pd ha incoronato ieri, per la seconda volta, Matteo Renzi a capo della segreteria. L’ex premier si ha ripreso saldamente in mano il partito e nel suo discorso di reinsediamento ha confermato il sostegno al governo Gentiloni. Tuttavia, lo ha commissariato preparandosi a dare battaglia sulle questioni economiche, terreno sul quale bisogna conciliare le pressioni dell’Ue al rigore sui conti pubblici con la necessità di cercare consenso in vista delle elezioni politiche. Una battaglia che verrà condotta anche in Europa – non a caso Renzi ha scelto Bruxelles per chiudere la propria campagna per le primarie – dove l’elezione di Emmanuel Macron in Francia, a dispetto delle reciproche simpatie, non è proprio una buona notizia per il confermato segretario dem.
Quanto ai rapporti con Palazzo Chigi, “dobbiamo adottare un nuovo metodo di lavoro, riunendo ogni settimana i gruppi (parlamentari, ndr), la segreteria e l’esecutivo”, indica il numero uno di Largo del Nazareno. È una sorta di commissariamento, sebbene Renzi rinnovi la fiducia nel presidente del Consiglio indicando che “nessuno nel Pd metterà in discussione il governo della Repubblica guidato da Paolo Gentiloni”.
Il controllo del Partito democratico sull’azione di governo si fa dunque più stretto. Questo, da un lato, genererà malumori nell’ala centrista della maggioranza, che dovrà preoccuparsi di far emergere in qualche modo la propria voce per non sparire dietro l’immagine di un governo a guida unica. Dall’altro lato renderà ancora più stretto il “sentiero” evocato più volte dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, tra il rispetto delle regole di bilancio Europee e una politica economica espansiva, in grado sì di alimentare una crescita ancora debole, ma utile anche ad accarezzare l’elettorato in vista delle prossime elezioni.
Proprio questa strettoia tra rigore di bilancio e ricerca di consensi rappresenta uno degli elementi per i quali l’ipotesi di un voto anticipato non è del tutto tramontata. È infatti ancora presente, per i renziani, la tentazione di andare a votare entro la prima metà di ottobre, cioè prima di presentare la Legge di bilancio per il prossimo anno, con la quale andranno trovati circa dieci miliardi solo per disattivare gli aumenti Iva imposti dalle clausole di salvaguardia.
La tentazione è poi resa paradossalmente più forte dalla vittoria di Macron alle presidenziali in Francia, non proprio una bella notizia per l’ambizione di cambiare l’orientamento di politica economica dell’Ue. Il neo inquilino dell’Eliseo aveva incassato già dal primo turno l’endorsement di Renzi, che lo aveva preferito anche al candidato socialista, ma sembra più interessato a rinsaldare l’asse con la Germania di Angela Merkel che a intraprendere una battaglia vera contro l’austerità in Europa.
Per andare al voto anticipato, la decisione di sciogliere le Camere spetta al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che nelle scorse settimane aveva però indicato la necessità di approvare con urgenza la riforma elettorale. Renzi, dal palco dell’Assemblea Pd, si rivolge “con deferenza e rispetto” all’inquilino del Colle per dire che “il Pd non farà il capro espiatorio” in questo dibattito. A suo avviso, le proposte spettano alle opposizioni, al fronte del No che ha convinto i cittadini a bocciare il referendum costituzionale.
Le parole di Renzi indicano che per lui non sarebbe un dramma andare alle urne con l’attuale sistema – ci sono due leggi diverse per Camera e Senato, entrambe corrette da due sentenze di parziale incostituzionalità –, un proporzionale con soglie di sbarramento che quasi certamente porterebbe a un governo di larghe intese.
In questo caso, resterebbe da vedere, all’indomani del voto, se il Pd sarà in grado di formare una maggioranza con Fi, i partiti di centro e magari una parte della sinistra (l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ma non gli scissionisti che hanno lasciato il Pd con Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani), o se sarà il M5s a vincere e a provare a formare un esecutivo euroscettico con la Lega, o magari anche qui con una parte di sinistra.
Lo scenario futuro appare ancora altamente incerto, tanto che qualcuno, tra le fila di Forza Italia, ipotizza perfino che sia il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, a finire a Palazzo Chigi dopo una vittoria elettorale del M5s a cui seguisse l’impossibilità di formare un esecutivo a guida pentastellata. Su Tajani potrebbero convergere delle larghe intese tra Fi, Pd e tutte le altre sigle pronte a rispondere ‘presente’ a un appello alla responsabilità nazionale, anche se è difficile che Renzi accetti di sostenere un premier diverso da sé che non sia almeno un uomo di sua fiducia.
In ogni caso, se ci saranno larghe intese, governi di coalizione o monocolore dipenderà molto dalla futura legge elettorale, attesa in Aula a Montecitorio per il 29 maggio prossimo. Basterà attendere qualche settimana, dunque, per capirne di più, anche in merito alla possibilità di un voto anticipato. Secondo le valutazioni del Colle, infatti, l’attuale sistema scaturito dai pronunciamenti della Corte costituzionale rischia di non essere applicabile. Servirebbe almeno un intervento di armonizzazione tra Camera e Senato. Senza questo intervento prima della pausa estiva, che una parte dei renziani vorrebbe sottoforma di decreto dell’esecutivo, sarebbe impossibile andare alle urne prima di varare la bozza di bilancio per il 2018.