Bruxelles – In Italia radio e tv sono fuori legge. Una situazione figlia di una storia tutta italiana a metà strada tra le i racconti pirandelliani e le storie kafkiane, dove personaggi in cerca d’autore si scontrano con i signori del castello della Siae. Al netto di riferimenti letterali, ci sono musica e politica. In Italia la Società per gli autori e gli editori, più nota come Siae, opera in regime di monopolio. La diffusione di opere musicali passa attraverso il pagamento di diritti all’agenzia di copyright. Peccato che ci sia un 10% di artisti italiani che ha deciso di non far più capo alla Siae. Si tratta di circa 8.000 tra compositori, cantanti, parolieri, arrangiatori, che hanno deciso di rivolgersi ad agenzie private come la Soundreef, che ha in Fedez e Gigi D’Alessio alcuni dei nomi di maggior notorietà. Per le disposizioni nazionali però non si può pagare altra agenzia al di fuori di Siae, pena infrangere la legge. Ma come si può pagare a qualcuno che non è titolare i diritti delle canzoni da trasmettere in radio? E come può Siae chiedere di pagare per qualcosa di cui non dispone? E come si può mandare in onda una canzone senza pagare i diritti al legittimo titolare? Semplice: “In pratica gli utilizzatori li stanno utilizzando illegalmente”, spiega ad Eunews il presidente ed amministratore delegato di Soundreef, Davide D’Atri.
Soundreef è una agenzia privata per i diritti d’autore con sede a Londra. Opera, o almeno tenta di farlo, grazie alle normative comunitarie sulla gestione dei diritti d’autore (nota come direttiva Barnier, dal nome del commissario europeo responsabile che la mise a punto) che apre i mercati nazionali ed europeo della musica. Si esce dall’ottica dei monopoli per liberalizzare il mercato. Tra il dire e il fare c’è però di mezzo l’Italia. La direttiva doveva essere recepita entro aprile 2016, ma Roma ha deciso di non farlo. “In Italia – denuncia D’Atri – il governo, nella persona di Dario Franceschini, ha rafforzato il monopolio, tappandosi orecchie e occhi” davanti a una direttiva che va nella direzione opposta a quella intrapresa. Una decisione che ha visto la Commissione europea aprire una procedura d’infrazione, ancora in corso. “Non mi aspetto niente di particolare dalle istituzioni, voglio che i diritti d’autore siano rispettati”.
Il Ceo di Soundreef lamenta perdite economiche nell’ordine di “quattro-cinque milioni di euro l’anno” dai mancati introiti versati. Questo perché pagare Soundreef in Italia vorrebbe dire violare il monopolio Siae, e incorrere nelle sanzioni del caso. “Radio, tv, ma soprattutto organizzatori di eventi non sanno chi pagare” per via della situazione che si è venuta a creare. Il caso più eclatante, in tal senso, si è verificato al festival di Sanremo. Artisti non aderenti alla Siae sono saliti sul palco del teatro Ariston, ma “la Rai non sa a chi pagare i diritti”, spiega D’Atri. “La Siae non li può vendere, ma la Rai non può pagarceli perché violerebbe il monopolio”. Chi organizza concerti o festival si trova nello stessa situazione. Le radio dovrebbero ricorrere all’autocensura per aggirare il problema, decidendo di non trasmettere quei brani i cui autori non sono coperti dall’ombrello della Siae. Ma per i film? Si evita la messa in onda di interi film solo perché una parte della colonna sonora è realizzata da un artista non socio della Siae? Ecco il grottesco italiano d’autore, è il caso di dire.
I danni economici per Soundreef aumentano. “Considerando che ogni anno il catalogo raddoppia, se oggi abbiamo perdite tra quattro-cinque milioni di euro, il prossimo anno saranno circa dieci”, a cui si aggiungono i costi delle spese legali avviate. Il tutto si scarica sulla spalle di una società privata. “Quanto possiamo aspettare?” La procedura d’infrazione sembra incagliata. Da una parte la direzione generale per la Crescita “ha trovato la questione di grande interesse” e ci sta lavorando. Ma la direzione generale per l’Agenda digitale, invece, “non ha manifestato lo stesso interesse”. Una divergenza di opinioni che rischia di rallentare il processo decisionale. E poi c’è la Brexit, il processo che porterà il Regno Unito fuori dall’Ue. Per due anni niente cambia, ma quando Londra sarà fuori dal mercato unico se il dossier aperto adesso a Bruxelles non sarà chiuso si porrà il problema di come trattarlo, avendo Soundreef sede a Londra.
In attesa di pronunciamenti europei, arrivano (sono già arrivati, in realtà) quelli italiani. L’autorità garante per la Concorrenza ha aperto un’istruttoria contro la Siae per pratiche distorsive del mercato. Abuso di posizione dominante è l’ipotesi di reato, commesso anche attraverso alleanze con l’associazione degli organizzatori di concerti di musica dal vivo (Assomusica). Scopo dell’istruttoria, si legge nel comunicato di Agcm, è “accertare se Assomusica abbia posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza tramite l’adozione di linee guida che indicano alle imprese associate di non stipulare accordi di licenza, né corrispondere compensi a società di gestione concorrenti di Siae”. Una pratica contraria anche ai trattati Ue. “A Milano ci è stata riconosciuta ragione in primo grado”, sottolinea D’Atri. Ma fino al terzo grado di giudizio per la giustizia siamo tutti innocenti, dunque bisogna attendere la fine del capitolo di questa storia tutta italiana che, comunque vada a finire, non fa bene all’Italia. “Volevo raccontare la storia di italiani che dall’estero tornano a investire in Italia, ma tutti mi dicono di lasciar perdere a questo punto”, ammette D’Atri, deciso però ad andare avanti. Almeno finché sarà possibile.