di Vittorio Daniele*
Mentre molti governi, per rispettare stringenti vincoli di bilancio, comprimono spesa e servizi pubblici, una parte significativa della ricchezza delle nazioni sfugge a qualsiasi forma di tassazione. Invece di contribuire al funzionamento dello Stato, di finanziare investimenti produttivi, viene occultata nei paradisi fiscali. Esente da qualunque forma di tassazione, accresce la ricchezza di una parte esigua della popolazione mondiale e, nello stesso tempo, contribuisce all’instabilità finanziaria internazionale e all’aumento delle disuguaglianze. Quant’è grande la ricchezza nascosta nei paradisi fiscali offshore? Perché i paradisi fiscali costituiscono una minaccia all’uguaglianza e, in una certa misura, anche alla democrazia? Cosa si può fare per contrastarli? A queste domande risponde chiaramente Gabriel Zucman, economista dell’Università della California a Berkeley, nel suo libro La ricchezza nascosta delle nazioni. Indagine sui paradisi fiscali, add editore, 2017. Il contrasto all’opacità finanziaria, scrive Thomas Piketty nella prefazione al libro, è una delle principali sfide dei governi. Qualcosa è stato fatto; molto resta da fare.
La ricchezza nascosta delle nazioni
Stimare la ricchezza sottratta al fisco e occultata nei paradisi fiscali di tutto il mondo non è semplice. Il tema è trascurato dagli economisti; le stime non sempre sono affidabili. Usando una metodologia trasparente, che analizza le incongruenze nelle statistiche finanziarie internazionali, Gabriel Zucman stima che, a livello mondiale, l’8% dei patrimoni finanziari delle famiglie è detenuto nei paradisi fiscali. Si tratta di una cifra enorme: 6.900 miliardi di euro. Il 30% dei patrimoni offshore, 2.100 miliardi, si trova in Svizzera. Il resto è disseminato tra Singapore, Hong Kong, le Bahamas, le Isole Cayman, il Lussemburgo e gli altri paradisi fiscali che offrono servizi bancari e finanziari per gli ultraricchi di tutto il mondo.
Da dove viene la ricchezza nascosta nei paradisi fiscali? La quota principale, 2.400 miliardi di euro, proviene dall’Europa, 1.050 miliardi dagli Stati Uniti e 1.200 dall’Asia. Il resto dalle altre nazioni. In Europa, le famiglie detengono offshore il 10% del loro patrimonio finanziario, negli Stati Uniti il 4%. Le percentuali sono molto più alte nei paesi emergenti e in via di sviluppo. In Africa, la ricchezza collocata all’estero sfiora il 30%. In Russia e nei paesi petroliferi del Medio Oriente supera il 50%.
Figura 1. Patrimoni finanziari delle famiglie nei paradisi fiscali (2014)
Fonte: Zucman (2017).
Alcuni paesi europei hanno un ruolo cruciale nel sistema della finanza offshore. Dei 2100 miliardi di euro gestiti nel 2015 dalle banche con domicilio svizzero, 700 miliardi (il 40%) erano investiti in Lussemburgo, 200 miliardi di Irlanda, il resto suddiviso in altre attività finanziarie internazionali e depositi. In Lussemburgo e Irlanda, oltre che nelle Isole Cayman, è domiciliata, infatti, la maggior parte dei fondi d’investimento mondiali. Il Lussemburgo, scrive Zucman, «è il paradiso fiscale di tutti i paradisi fiscali, presente in tutte le fasi del circuito della gestione patrimoniale internazionale e utilizzato da tutti gli altri centri finanziari». A partire dagli anni Settanta, questo piccolo paese al centro dell’Europa ha attirato migliaia di fondi di investimento, imprese multinazionali, società di comodo e banche. Per riuscirci, ha ceduto alle multinazionali il potere di decidere sulle aliquote fiscale e su altri obblighi legali. In un certo senso, osserva Zucman, c’è riuscito «commercializzando la sua sovranità».
La ricchezza perduta delle nazioni
Per le multinazionali, l’elusione fiscale avviene attraverso le lasche maglie della legge. Per avere un’idea della sua entità, si consideri che negli Stati Uniti, nel 2013, le imprese hanno realizzato all’estero 650 miliardi di dollari di utili. La metà dei profitti proviene da nazioni a bassa o nulla imposizione fiscale: Bermuda, Paesi Bassi, Lussemburgo, Irlanda, Singapore e Svizzera. Secondo le stime di Zucman, dei 6.900 miliardi dei patrimoni che le famiglie detengono nei paradisi fiscali, solo il 20% risulta dichiarato. La restante quota, cioè 5.500 miliardi sfuggirebbe, dunque, alle imposte. La perdita globale di gettito fiscale ammonterebbe a 170 miliardi di euro annui (Fig. 2). Per i paesi europei, l’evasione sarebbe di 70 miliardi di euro, di 30 per gli Stati Uniti e per i paesi asiatici, di 13 miliardi di euro per l’Africa. Importi a cui andrebbero aggiunti quelli dell’evasione e dell’elusione delle imprese multinazionali stimati, solo per gli Stati Uniti, in 130 miliardi di dollari annui.
Figura 2. L’evasione fiscale globale dei patrimoni offshore nel 2014
Fonte: G. Zucman (2017).
Il contrasto ai paradisi fiscali apporterebbe benefici sociali enormi. Si pensi ai paesi europei, cui oggi si richiedono misure di austerità, tagli alla spesa pubblica, compressione del welfare. La lotta all’evasione fiscale e all’elusione consentirebbe di ridurre le imposte ai cittadini meno abbienti e di migliorare i conti pubblici. Eppure il contrasto è debole. Dal 2009, quando nella riunione del G20 di Londra si decretò la fine del segreto bancario, le somme depositate nei paradisi fiscali dai singoli individui, senza considerare le imprese, sono aumentate del 25%. L’evasione fiscale mina alla base il contratto sociale tra cittadini e Stato, secondo il quale si pagano le imposte per finanziare beni e servizi pubblici. Ma quando i cittadini più ricchi e le grandi imprese aggirano questo patto, il consenso sociale che ne è alla base progressivamente si sgretola. Perché per compensare le imposte evase o eluse, è necessario accrescere la pressione fiscale sulle persone oneste, oppure ridurre i servizi pubblici a danno dei meno abbienti, di coloro che difficilmente possono accedere alla sanità o all’istruzione private. La ricchezza nascosta nelle Isole Cayman e negli altri paradisi fiscali non finanzia lo Stato e non viene neppure investita nelle fabbriche. Non contribuisce né ai servizi pubblici né alla produzione di redditi e occupazione. È ricchezza per pochi, perdita secca per tutti gli altri. Il libro di Zucman non fornisce solo cifre, ma delinea anche possibili strategie di contrasto ai paradisi fiscali: un catasto finanziario mondiale, un sistema di scambio automatico delle informazioni e modalità nuove di tassazione delle multinazionali. L’evasione fiscale non è un destino ineluttabile. Le vie per combatterla ci sono. A patto che si decida di intraprenderle.
*Prof. Associato di Politica Economica Università Magna Graecia di Catanzaro
Pubblicato su Economia e Politica il 2 maggio 2017.