Roma – L’elezione di Donald Trump alla Casa bianca dimostra che le sorprese, in politica, sono possibili. Nel caso delle primarie del Pd, tuttavia, appare pressoché impossibile registrare colpi di scena. Dopo una campagna soporifera e poco attrattiva – appena 751 mila spettatori per l’unico ‘triello’ televisivo tra i candidati Michele Emiliano, Andrea Orlando e Matteo Renzi – il sondaggista Nando Pagnoncelli riporta sul Corriere della sera che domenica si recherà ai gazebo poco più di un milione e mezzo di elettori al massimo, ben lontani dai 2,8 milioni delle primarie 2013, e che 3 preferenze su quattro andranno al segretario uscente Renzi.
L’ex presidente del Consiglio sembra dunque destinato a rimettersi alla guida del Partito democratico. E non è da escludere che, rinvigorito da un nuovo mandato plebiscitario (se di plebiscito si può parlare con un’affluenza praticamente dimezzata rispetto al 2013), possa decidere di forzare la mano per andare al voto anticipato. Una mossa che gli consentirebbe di non dover sostenere prima delle elezioni, da segretario del principale partito di maggioranza, una Legge di bilancio che si annuncia particolarmente spinosa per chi ambisce a tornare al governo.
La pulsione per una fine anticipata della legislatura si scontra però con il monito del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sulla necessità di varare prima una legge elettorale. Il sistema venuto fuori da due sentenze della Corte costituzionale, infatti, non dà certezze. O meglio, visti il panorama attuale, con tre poli a contendersi i voti, e la differenza di regole tra Camera e Senato, c’è la certezza di ingovernabilità. Dunque, è la necessità di varare una riforma elettorale a dare la garanzia che l’esecutivo di Paolo Gentiloni è destinato ad andare avanti.
Ciò non vuol dire, però, che il termine sia la scadenza naturale della legislatura. Perché se si approvasse una nuova legge elettorale in tempo – e l’intervento del Colle ha dato un’accelerazione ai lavori, con un calendario che prevede per il 25 maggio la presentazione di una proposta di base da iniziare a discutere, e magari anche a votare, alla Camera entro fine mese – le riserve di Mattarella su uno scioglimento anticipato del Parlamento potrebbero cadere. Altrimenti, l’inquilino del Quirinale è determinato a non consentire un voto che rappresenterebbe un salto nel buio. Anche qualora l’attuale esecutivo dovesse inciampare al Senato, dove i numeri della maggioranza sono ristretti, sarebbe pronto ad affidare un nuovo incarico per un governo che vari la manovra finanziaria da presentare entro il 15 ottobre, per garantire la tenuta dei conti pubblici e rassicurare i partner europei, e che consenta l’approvazione di una legge elettorale omogenea.