Roma – Il Senato è pronto a innalzare barricate contro la trasposizione del Fiscal Compact nei Trattati europei, come previsto dallo stesso Patto di bilancio. Anzi, no, era solo uno scherzo, o almeno così è sembrato, dal momento che la risoluzione con cui Palazzo Madama ha dato l’ok al Documento di economia e finanza 2017, il Def, conteneva inizialmente un passaggio contro la trasformazione dell’accordo in trattato, ma poi è sparito dalla seconda versione del testo che poi è stata approvata.
I senatori, con 158 voti a favore, 99 contrari e 2 astenuti impegnano il governo a “continuare a promuovere una strategia di riforma degli orientamenti di politica economica e finanziaria prevalenti in sede comunitaria”, per dare “una maggiore centralità alla crescita economica, all’occupazione e all’inclusione sociale”. Tuttavia, mentre nella prima versione della risoluzione si indicava di perseguire queste finalità anche “evitando l’inserimento del Fiscal compact all’interno dei Trattati prima di aver concordato con gli altri Paesi membri le necessarie modifiche”, questa indicazione è sparita dal testo definitivo.
Si tratta di un dietrofront abbastanza strano, se si considera che più volte, tanto l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi quanto quello attuale Paolo Gentiloni, si sono espressi in maniera più o meno netta per una revisione del Patto di bilancio, al pari del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. Bisognerà attendere la discussione sulla trasposizione del Fiscal compact – che in base allo stesso accordo deve essere avviata quest’anno – per vedere se il passo indietro della maggioranza corrisponderà a un ammorbidimento dell’Italia, o se l’esecutivo, anche senza l’esplicito mandato del Parlamento, pretenderà con fermezza che le regole vengano riscritte.
Poco dopo il Senato, anche la Camera ha dato il via libera al Def con 284 sì alla risoluzione di maggioranza, 150 no e 5 astenuti. I principali impegni chiesti dal Parlamento all’esecutivo per la prossima Legge di bilancio riguardano il congelamento delle clausole di salvaguardia che prevedono aumenti Iva a partire dal prossimo gennaio, il taglio del cuneo fiscale, la revisione delle aliquote Irpef, l’allineamento della spesa sanitaria alla media Ue, interventi per favorire la competitività delle imprese, il proseguimento del percorso di riforma della giustizia, una semplificazione del sistema fiscale. Tutti punti sui quali, in autunno, si dovrà trovare un equilibrio tra le esigenze di consenso elettorale in vista delle politiche previste nei primi mesi del 2018 e quelle di far quadrare i conti per non incorrere in richiami da parte della Commissione europea.