Bruxelles – I fondi di coesione, questi sconosciuti. Spesso non si sa bene cosa siano, e ancor più spesso nessuno sa a cosa servano. In un momento in cui tanti, sempre di più, domandano e si domandano a cosa serva l’Unione europea, i ministri degli Stati membri intendono dare risposte vere, approvando la strategia per una migliore comunicazione delle politiche comunitarie e del loro beneficio. Tra il 2007 e il 2013 i fondi di coesione hanno dato assistenza a 400mila piccole e medie imprese e aiutato 121.400 start-up, permettendo la creazione di un milione di posti di lavoro, hanno sostenuto 94.955 progetti di ricerca, permesso la realizzazione di 4.900 chilometri stradali e autostradali e il potenziamento di 1.500 chilometri di ferrovia. Non solo. Gli stessi fondi, nello stesso lasso temporale, hanno permesso a sei milioni di persone in tutta Europa di essere allacciate a reti di acqua potabile più nuove o nuove del tutto, e a sette milioni di persone di godere di sistemi di trattamento di acque di scarico di nuova generazione. Numeri e risultati però nascosti. Un peccato, secondo Ian Borg, responsabile per i fondi europei del governo maltese, attualmente presidente di turno del Consiglio Ue. “I fondi di coesione sono una storia di grande successo. Aiutano a creare lavoro, stimolare la crescita e migliorare la vita di milioni di persone. Ciò di cui difettano è la visibilità”.
Ecco allora la strategia degli Stati membri. Visti i risultati conseguiti finora, e considerando che l’istituzione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Efsi) potrà accrescere la portata dei fondi comunitari, i ministri riuniti a Lussemburgo hanno deciso che tutti gli Stati membri comunichino i vantaggi dell’Ue ai propri cittadini. Si tratta di rendere accessibili a tutti il modo in cui sono stati spesi i soldi. Una sorta di “Open Coesione” sui risultati prodotti, per dirla utilizzando il nome del progetto del governo italiano per la trasparenza sull’utilizzo dei fondi. Dopo aver indicato quanto è stato usato delle risorse messe a disposizione dell’Ue, si tratta di dire in cosa queste si sono realmente prodotte. In tal senso i Ventotto hanno concluso che beneficiari e autorità degli Stati membri debbano comunicare “in modo completo” e sistematico i risultati, i benefici e l’impatto a lungo termine della politica di coesione. D’ora in avanti si intende anche spronare tutte le parti interessate a sfruttare al meglio gli strumenti di comunicazione disponibili, incluse le nuove tecniche di comunicazione, per aumentare la visibilità della politica in modo adeguato alle esigenze dei gruppi target.
Oltre alla comunicazione serve altro, però. Il ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti, ha indicato quattro punti attorno a cui concepire le politiche di coesione: servono innanzitutto risorse adeguate, “perché sono la migliore espressione di un’Europa che guarda ai bisogni dei suoi cittadini in carne ed ossa”, oltre a semplificazione delle procedure “non solo per facilitare l’uso dei fondi ma anche per realizzare verifiche serie ed efficaci riguardo ai risultati che ogni Paese consegue”. In terzo luogo la politica di coesione ha bisogno di un quadro di politica economica europea “complessivamente orientato alla crescita”, e infine l’utilizzo dei fondi di coesione, “va condizionato al rispetto dei valori fondamentali che rappresentano la spina dorsale dell’Unione, a cominciare dalla condivisione delle regole di solidarietà che l’Unione si è data in materia di immigrazione”.