Bruxelles – La Libia è una bomba a orologeria. Un Paese all’orlo del collasso, e una sua implosione rischierebbe di colpire l’Europa in modo difficile da prevedere e da controllare. Ci sono nel paese “circa un milione” di rifugiati bloccati nei vari centri di accoglienza. “Non tutte” sono arrivate in Libia con l’intenzione di continuare il viaggio verso l’Unione europea, ma con l’intento di fermarsi. Adesso però il lavoro non c’è più, e queste persone difficilmente resteranno ferme. E’ l’allarme lanciato dalla Commissione europea in occasione dell’audizione parlamentare sui centri per i rifugiati libici. Nessun tono apocalittico, ma i rappresentanti dell’esecutivo comunitario non hanno voluto nascondere la portata del problema.
“Ci sono tra le 700mila e un milione di persone bloccate in questo momento in Libia”, ha ammesso Maciej Popowski. vicedirettore generale per le Politiche di vicinato. Non è chiaro che ne sarà di loro. La situazione politica è fragile e incerta, e il traffico di esseri umani prospera. “C’è intera economia che ruota attorno a questi centri e alla rotta migratoria” del Mediteranneo, quella che dall’Africa porta all’Ue attraverso l’Italia, riconosce Andrea Pontiroli, desk officer per la Libia del Servizio per l’azione esterna dell’Ue (Seae). Il problema che “a situazione in Libia non sta migliorando, e la tensione aumenta”. Per la Commissione europea “l’obiettivo a lungo termine è aiutare la Libia affinché diventi un Paese prospero e stabile, e non succederà domani”. Serve tempo, e forse tempo non c’è. Allo stallo politico si aggiunge il ristagno economico. La Libia basa tutto sulla produzione di petrolio, ma questa si è ridotta e alternative non sono state attivate. Si rischia “un collasso economico” dagli effetti collaterali ancor più disastroso.
C’è di più. La Commissione europea non opera sul campo. Gestisce – o meglio, cerca di gestire – la situazione migranti a distanza, da Tunisi. Questo “per ragioni di sicurezza”, ammette Popowski. La Libia non è affidabile né sicura. I rifugiati sono accolti in centri che sfuggono ad un monitorraggio affidabile. Questi centri “spesso sono controllati non dallo Stato ma dalle milizie”, ricorda Pontiroli. Insomma, l’Ue non ha proprio tutto sotto controllo. Ma se gli argini saltano, ci sono fino a un milione di migranti pronti a salpare per l’Europa.
I 5 Stelle chiedono lumi, presentata interrogazione
Il Movimento 5 Stelle chiede chiarezza e garanzia alla Commissione europea, in una interrogazione in cui si domandano risposte circa il ruolo delle organizzazione governative. Nello specifico la delegazione pentastellata in Parlamento europeo intende sapere se le Ong coinvolte nelle operazioni nel Mediterraneo, vicino alle coste libiche, rispettano le norme internazionali e come mai scelgono sempre le coste italiane come approdo finale. In secondo luogo si intende sapere sei il lavoro delle stesse Ong favorisce “anche indirettamente” il business dei trafficanti di esseri umani, e chi finanzie le attività di salvataggio delle Organizzazioni.
Medici Senza Frontiere: i soldi non sono la soluzione
“Dare più soldi non risolverà il problema”, anche perchè “la Libia non è la soluzione, ma parte del problema” stesso, critica Annemarie Loof, direttrice del programma Libia di Medici senza Frontiere, che prova a dare una prima risposta ai grillini.”Dal 2015 abbiamo due imbarcazioni di salvataggio e salviamo quelle persone che cercano di fare la traversata verso l’Europa. Quando salviamo queste persone sentiamo racconti raccapriccianti”, che si aggiungono alle condizioni di detenzione “inumane” registrate da Msf in Libia. “Per noi è vitale trovare un luogo per assistere”, e rimandare in Libia non è sostenibile. Anche Loof conferma che in Libia i migranti “sono un business enorme”, e dare soldi in un Paese fragile e senza controlli rischia di alimentare ancora di più questo mercato. La Libia è un punto nevralgico delle rotte, un punto di snodo. Chi lucra sulla tratta di esseri umani trova nel Paese africano terreno fertile. “Tutte le strade portano a Tripoli”. La Commissione europea però si è fermata a Tunisi.