Roma – Fabrice Leggeri, direttore dell’Agenzia di Guadia costiera e di frontiera europea Frontex, non placa le polemiche sul presunto ruolo di attrattori di flussi migratori irregolari che le organizzazioni umanitarie eserciterebbero con la presenza delle loro navi nel Mediterraneo. “Gli scafisti danno dei telefoni ai migranti con i numeri di telefono di alcune Ong” da contattare per le richieste di soccorso, denuncia il francese precisando di avere in merito “alcune testimonianze fornite dai migranti stessi”, i quali “indicano che uomini libici in uniforme, che quindi somigliano vagamente a una guardia costiera libica, sarebbero in contatto con Ong quando ci sono operazioni di soccorso in mare”.
Leggeri tiene a precisare “che questi fatti avvengono essenzialmente nella parte occidentale della Libia, quindi non sono uomini della Guardia costiera libica che noi formiamo, ma individui e gruppi che controllano la parte di territorio a ovest di Tripoli”. Le testimonianze raccolte da Frontex sono “a disposizione delle autorità di polizia competenti che conducono indagini in Italia”, aggiunge il direttore ascoltato in audizione davanti alla commissione Difesa del Senato.
“Le Ong sono nostri interlocutori, li conosciamo, quindi non ho motivo di dubitare della buona fede delle loro intenzioni umanitarie”, spiega. Tuttavia, ritiene un “paradosso abbastanza strano” il fatto che “oggi abbiamo circa un terzo delle operazioni di soccorso in mare effettuate direttamente dalle organizzazioni non governative”, sebbene non ci siano “mai stati tanti mezzi pubblici dispiegati dall’Ue e dall’Italia” nel Mediterraneo come adesso, considerata la presenza delle navi della missione Triton di Frontex, quelle dell’operazione Sophia con cui l’Ue contrasta gli scafisti, e quelle messe in mare dall’Italia.
Il numero uno di Frontex fa poi notare “l’evoluzione geografica” delle operazioni di salvataggio. “Nel 2015 e inizio 2016, avvenivano all’incirca a metà strada tra la Sicilia e la costa libica. Oggi, la maggior parte dei soccorsi in mare avviene molto in prossimità delle acque territoriali libiche: 20-25 miglia nautiche dalla costa, e a volte anche dentro le acque territoriali”, come “abbiamo potuto osservare da qualche mese a questa parte”.
Leggeri, dunque, suggerisce un legame tra la presenza delle Ong in mare e l’aumento di arrivi dalla rotta mediterranea. Infatti, nonostante “i flussi attuali verso l’Ue siano ampiamente diminuiti rispetto al 2016 e al 2015”, indica, “nel Mediterraneo centrale abbiamo un aumento del 25% degli arrivi registrati tra gennaio e marzo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”.
Poi c’è un altro aspetto preoccupante riportato dal funzionario europeo sulla base delle testimonianze raccolte ascoltando i migranti, i quali raccontano di “una sorta di ricatto esercitato da questi uomini in uniforme che provengono dalla Libia occidentale, che avrebbero minacciato di morte le donne e i bambini a bordo di un’imbarcazione se le Ong non avessero abbandonato queste imbarcazioni”. I natanti, in particolare quelli di legno, pur in condizioni fatiscenti sono un bene prezioso per i trafficanti, che recuperandoli possono organizzare nuove spedizioni. Questo spiegherebbe il perché delle minacce, che tuttavia sono state negate da Oscar Camps, direttore di Proactiva open arms, una delle Ong operanti nel Mediterraneo, in audizione stamane davanti alla stessa commissione Difesa del Senato.