Roma – “Certamente l’impegno del governo italiano va nella buona direzione”. È il commento che Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea, dà della politica economica dell’esecutivo, anche se “non ho ancora visto nel dettaglio il Def e la manovra correttiva, per cui non posso dare un giudizio circostanziato”, ammette in un’intervista pubblicata stamane da Repubblica. Il numero uno di Berlaymont ritiene che l’Italia stia “facendo grandi sforzi per tenere sotto controllo il proprio deficit pubblico. Tuttavia”, ammonisce, “sul medio e lungo periodo, per salvare sé stessi e l’Unione monetaria, è necessario che gli italiani risanino in modo decisivo le proprie finanze pubbliche e in particolare il loro enorme debito”.
Pur mettendo “subito in chiaro che escludo un’uscita dell’Italia dall’euro”, prosegue il presidente, “mi rattrista vedere che il Paese perde competitività di giorno in giorno, di anno in anno”. Lo Stivale “deve ritrovare un tasso di crescita che oggi è troppo debole”, e per farlo “occorre saper sfruttare” gli spazi che l’Ue le ha riconosciuto, perché “la flessibilità ha permesso al Paese un margine di manovra senza che la mannaia del Patto di stabilità gli cadesse sul collo”, sottolinea ancora il capo dell’esecutivo comunitario, e anche “i bassi tassi praticati dalla Bce offrono una tregua di cui deve saper approfittare”. Perché “se prende le iniziative giuste, l’Italia ha tutti gli strumenti per diventare una forza motrice dell’Europa”.
Juncker ha un giudizio molto positivo del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che “è il buonsenso fatto premier”, e del titolare dell’Economia, Pier Carlo Padoan: “È un ottimo ministro”. Esprime apprezzamento anche per l’ex inquilino di Palazzo Chigi, Matteo Renzi, con il quale “ho avuto un rapporto burrascoso”, ricorda, “e tuttavia lo apprezzo molto proprio per l’orgoglio che dimostra rispetto al proprio Paese”. Infatti, per il lussemburghese, “l’Italia oggi è ammirata da tutta l’Europa salvo che dagli italiani”. Addirittura “meriterebbe il Nobel per la pace per quello che fa per salvare vite nel Mediterraneo”.
Un punto, quello della gestione dei flussi migratori, sul quale Juncker non si dà pace perché gli Stati membri faticano ancora ad adottare una politica comune. Sull’ipotesi di sanzionare chi non rispetta gli accordi, confessa, “se avessi seguito il mio istinto lo avrei già fatto tempo fa”. Però “non avrebbe portato a nulla”, dice, e per questo “mi sforzo di trovare soluzioni” e “mi ostino a spiegare” che “la solidarietà è indivisibile”, perché “oggi aiuti l’Italia”, ma in futuro “può toccare a qualcun altro dover far fronte a un’emergenza migratoria, magari dall’Ucraina”.
Un altro passaggio interessante dell’intervista riguarda la distinzione tra “i populisti radicali, che sono contro l’Europa” e con i quali “non si può avere dialogo”, a dall’altro lato “quelli che dubitano dell’Europa” e “pongono domande” alle quali spesso non si danno “risposte adeguate”. Questi ultimi “li definirei europessimisti”, spiega Juncker, e “con loro si può e si deve discutere”, perché “si fanno e ci fanno domande che spesso mi faccio anche io”.
L’esponente del Ppe sembra classificare in questa seconda categoria il Movimento 5 stelle. Mostra di coglierne i tentativi di accreditarsi come forza dialogante, dal matrimonio poi fallito con l’Alde alla correzione di tiro sul referendum contro l’euro. Sebbene scagli una frecciatina contro i pentastellati – “non conosco il programma dei Cinquestelle, anche perché ho il sospetto che non esista”, dice – poi riconosce che “quando mi rivolgono interrogazioni al Parlamento europeo, capisco le loro domande e cerco volentieri di rispondere come meglio posso”.