Le elezioni americane dello scorso novembre hanno lasciato molto in eredità alla nostra società contemporanea: non hanno solo decretato l’inaspettata vittoria di Donald Trump, ma anche acceso i riflettori su un tema non nuovo, rimasto in ombra per molto tempo. Le fake news non sono una novità, infatti, ma oggi il dibattito – che coinvolge trasversalmente giuristi, politici, giornalisti e persone comuni – appare più urgente che mai e si allarga al tema generale della regolamentazione della rete, luogo in cui le così dette “bufale” sembrano proliferare senza controllo.
Non stupisce quindi che, come sottolineato dal Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, anche l’Unione Europea si stia muovendo per cercare una risoluzione concertata alla questione.
Ma come bilanciare l’auspicato controllo delle notizie false diffuse via internet con i principi e le libertà tutelate dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo?
La prospettiva legislativa
“In Europa la libertà di espressione è più importante delle fake news” ha dichiarato Andrus Ansip, Vice Presidente della Commissione Europea responsabile per il mercato unico digitale. Per il Commissario estone non servono quindi nuove regole, ma è necessario chiarire quelle esistenti, sufficienti ma non abbastanza precise.
La relativa novità che Internet rappresenta a livello normativo divide il dibattito su molti fronti, rendendo difficile formare un’univoca idea d’intervento: interventi preventivi o multe successive? Nuovi principi o soltanto nuove leggi?
Essenzialmente la polemica si divide tra chi sostiene la necessità di introdurre nuovi principi di regolamentazione e chi invece propone di declinare quelli già esistenti in modo che si adattino alle peculiari caratteristiche del cyberspazio.
Di quest’ultima opinione è Paola Marsocci, professoressa di diritto costituzionale presso l’Università La Sapienza di Roma, intervenuta nel corso del convegno “Accesso a Internet e neutralità della rete fra principi costituzionali e Regole europee”, che ha avuto luogo il 31 marzo al Dipartimento CoRiS della Sapienza, nel quadro del modulo di giornalismo europeo BEJOUR. Secondo la costituzionalista, infatti, l’Europa dispone già dei principi adatti a tutelare i cittadini, poiché le fake news che troviamo online oggi, esistevano anche offline ieri. Il discrimine è da rintracciare nella velocità e nella pervasività permesse dal web, prima inimmaginabili e ora elementi su cui la regolamentazione può, e deve, intervenire in modo più specifico.
L’aspetto culturale
Chiaramente non si tratta di una questione unicamente legislativa. Molti paesi europei stanno iniziando a considerare anche la componente culturale, che influisce molto sul problema: in Svezia, ad esempio, il governo sta avviando un programma di formazione alla lettura critica delle informazioni circolanti sul web, per dotare l’utente stesso di conoscenze e capacità che gli permettano di ostacolare, o almeno non propagare, fake news, agendo a livello di fruizione individuale.
Una maggiore consapevolezza digitale è auspicata anche da Antonio Nicita, Commissario AgCom per le infrastrutture e le reti, intervistato a margine dell’iniziativa europea che ha avuto luogo alla Sapienza: “Il paradosso che vive la rete con le fake news è che da strumento di libertà e accesso rischia di trasformarsi in qualcos’altro” – ha dichiarato – “Le fake news hanno successo anche a causa della disattenzione che abbiamo quando siamo online. Il danno non è che affermano una cosa falsa, ma che riducono la capacità del sistema democratico di confrontarsi su varie questioni: sostanzialmente si crea il tifo”. Meglio lasciare l’autoregolamentazione ai social network, quindi, e concentrarsi sui “processi di alfabetizzazione digitale, che non significa saper accendere il computer, ma acquisire la capacità di controllo critico di quello che leggo”.
Eleonora Artese, Giulia Mazzi