Roma – Il Movimento 5 Stelle rimane il primo partito italiano e il gap con il Pd, al secondo posto, continua ad aumentare. È quanto emerge da un sondaggio realizzato da Ixè per la trasmissione televisiva Agorà. La rilevazione demoscopica, condotta il 29 marzo scorso su un campione rappresentativo composto da mille soggetti maggiorenni, attribuisce al M5S il 28,4% dei voti, con una crescita di mezzo punto rispetto a una settimana fa. Il Pd è al 26,5%, staccato di quasi due punti ma anch’esso in crescita dalla scorsa settimana, seppure di un misero 0,1%. Cresce anche Mdp, che con un +0,3% ottiene il 4,6% di gradimento. A destra, Forza Italia è stabile al 12,8% e rimane davanti alla Lega (12,4%), che però continua a rosicchiare terreno registrando una crescita dello 0,2% negli ultimi sette giorni.
Non sono lusinghieri i dati sulla fiducia nel governo, manifestata da appena il 24% dei soggetti interpellati. Va leggermente meglio al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che pur perdendo un punto percentuale rispetto alla scorsa settimana si attesta al 26%, due punti in più del suo predecessore Matteo Renzi (24%), che sembra comunque avviato a riconquistare la segretaria del Partito democratico.
Oltre alle preferenze di voto, il sondaggio ha testato anche il sentimento e i timori degli italiani nei confronti della Brexit. Per il 51% del campione, con il divorzio dal Regno unito l’Ue è più a rischio di prima. Si attesta però a un considerevole 36% la percentuale di chi ritiene che l’Italia debba imitare la Gran Bretagna uscendo dall’Unione europea.
Questi dati non fanno che alimentare l’incertezza del quadro politico nazionale, mentre è in corso il Congresso del principale partito di governo e si avvicina la scadenza elettorale delle amministrative, fissata per l’11 giugno in 1021 comuni (tra i quali i capoluoghi di regione Palermo, Genova, Catanzaro e L’Aquila), con eventuali ballottaggi il 25. Ma è soprattutto alle elezioni politiche del prossimo anno che si guarda, e il fatto che non ci sia una legge elettorale omogenea per Camera e Senato aggiunge ulteriore indeterminatezza.
Il dibattito sul nuovo sistema di selezione dei parlamentari inizierà alla Camera a maggio, ma ancora non c’è nessuna convergenza su una proposta che possa ottenere l’ok del Parlamento. Il Pd è per la reintroduzione del Mattarellum, un sistema maggioritario con un correttivo proporzionale, ma non sembrano esserci i numeri necessari per farlo passare al Senato. Così si dialoga col M5S, che propone il “legalicum”, ovvero l’Italicum corretto dalla Corte costituzionale e senza i capilista bloccati, da adottare anche per Palazzo Madama.
Il confronto tra Pd e M5s è però improntato alla diffidenza. È quello tra dem e pentastellati l’asse attorno al quale, a rigor di logica, potrebbe nascere una legge elettorale che faccia emergere un chiaro vincitore e gli attribuisca un premio tale da assicurare governabilità. Ma entrambi gli interlocutori cercheranno di disegnare un sistema che porti più acqua al proprio mulino, e dunque non è detto che si raggiunga un compromesso.
L’ipotesi che non si riesca a varare una nuova legge elettorale, infatti, non è esclusa. Con i pentastellati avanti nei sondaggi, il Pd potrebbe cedere al timore di vedere al governo proprio il movimento di Beppe Grillo. Per scongiurare il pericolo, potrebbe addirittura pensare di evitare lo scontro frontale, e accontentarsi di andare al voto con un sistema che quasi certamente non gli consegnerà le chiavi esclusive di Palazzo Chigi, ma da quale, se venissero confermati i sondaggi, emergerebbe come una forza imprescindibile per formare la maggioranza per un governo di coalizione. Sempre che i cinquestelle non facciano cadere il loro ‘niet’ sulle alleanze per formare un esecutivo con la Lega. La partita è dunque tutta aperta. Anzi, non è neppure iniziata, perché fino al 30 aprile – giorno in cui le primarie Pd diranno chi giocherà per i dem – possiamo considerarci solo al riscaldamento.