di Roberto Castaldi*
Il rilancio del processo di unificazione europea può prendere le mosse da quanto accaduto a Roma. Non tanto dalla Dichiarazione di Roma dei 27, che è un compromesso al ribasso, per quanto sia stato importante non rovinare le celebrazioni dei trattati con una dichiarazione senza le firme di alcuni paesi. È stata un’unità di facciata, come mostra la posizione del Gruppo di Visegrád espressa dopo soli due giorni, che contesta l’idea di legare l’erogazione dei fondi strutturali al rispetto delle decisioni dell’UE anche in tema di asilo e ripartizione di rifugiati. Ma si sapeva. Se ci fosse un’unità di sostanza – che storicamente non si è mai avuta – non ci sarebbe bisogno delle più velocità, che è invece lo strumento che è sempre stato necessario per andare avanti: vale per Schengen, l’euro, la Carta sociale, la Carta dei diritti, il Meccanismo europeo di stabilità e l’elenco potrebbe allungarsi.
La vera novità a Roma – e in diverse altre città europee – è stata che i cittadini sono scesi in piazza pacificamente e allegramente per chiedere una maggiore integrazione. La Marcia per l’Europa ha avuto luogo a Roma, Londra, Berlino, Varsavia e altre città. Complessivamente oltre 150.000 cittadini europei sono scesi in piazza a favore dell’Unione e del rilancio dell’integrazione. La maggioranza silenziosa per una volta ha scelto di farsi sentire. A Roma il successo straordinario – e per molti inaspettato, anche alla luce della campagna mediatica che invitava la gente a stare a casa per timore di violenze in città – della Marcia per l’Europa si scontra con il fiasco delle manifestazioni sovraniste. Complessivamente alle due marce europeiste c’era circa il triplo delle persone di quelle nazionaliste. È indicativo. Il clima sta cambiando.
L’Europa diventa la frattura politica fondamentale e i cittadini si schierano per l’Europa. Perfino Marine Le Pen è costretta a togliere la Frexit, l’uscita della Francia dall’UE, dai temi della sua campagna, per poter sperare di vincere. Mentre il candidato più esplicitamente europeista, Macron, continua a crescere nei sondaggi. Perfino i nazionalisti al potere in Ungheria e Polonia criticano l’UE, ma non si sognano minimamente di proporre di uscirne: sarebbe un suicidio politico che li porterebbe fuori dal governo alla prima occasione.
Come spesso accade, il ventre molle d’Europa è l’Italia. In cui il M5S continua ad avere una posizione ambigua sull’Europa nascondendosi dietro proposte impossibili come il referendum sull’uscita dall’euro. Da un lato la Costituzione vieta i referendum sui trattati internazionali e la nostra partecipazione all’Unione monetaria deriva dal Trattato di Maastricht. Dall’altro l’Unione monetaria è irreversibile. Si può uscire dall’UE (ma il 75% del nostro commercio è nel quadro dell’UE), come il Regno Unito, non dall’euro. Tralasciando che l’uscita dall’Euro sarebbe una sorta di suicidio politico ed economico. Basta ricordare le immagini di quanto accaduto in Grecia nell’estate di due anni fa, quando sembrava che la Grecia potesse uscire dall’Euro. Nessuna persona dotata di buon senso può voler seguire quella strada. Che infatti è il cavallo di battaglia della Lega e dell’estrema destra, che la pongono come condizione per qualunque alleanza. Ciò ha portato Berlusconi e Forza Italia al sofismo della doppia moneta: stare nell’euro, per rimanere nel Partito Popolare Europeo con la Merkel, ma inventarsi anche una moneta parallela, per potersi alleare con Salvini e Meloni. Peccato che i sofismi si scontrino con la realtà e l’idea della doppia moneta non stia in piedi da nessun punto di vista, né politico né economico.
Resta il fatto che se Salvini e Grillo insieme dovessero raggiungere il 50%+1 dei parlamentari l’Italia probabilmente uscirebbe dall’UE – la cornice e la condizione del suo sviluppo economico e del suo consolidamento democratico nel secondo dopoguerra – senza nemmeno averne discusso in modo serio. Il PD avrebbe tutto l’interesse a fare dell’Europa il tema centrale della campagna elettorale, ma è troppo diviso per alzare lo sguardo oltre le sue beghe interne. Così, a causa della debolezza e dell’incapacità di alzare lo sguardo da parte delle sue élite politiche, l’Italia si ritrova ad essere anch’essa l’ago della bilancia, e non solo in virtù delle dimensioni del suo debito pubblico.
La partita sul futuro dell’Europa non si gioca in Germania, dove comunque vincerà una forza europeista, che si tratti della CDU della Merkel o della SPD di Schulz, e in cui la presenza di un candidato fortemente europeista come Schulz contribuirà a spostare in avanti la disponibilità anche della Merkel ad approfondire l’integrazione. Il terreno fondamentale saranno le elezioni in Francia e Italia. Se vinceranno le forze nazionaliste la disgregazione dell’UE potenzialmente avviata con la Brexit potrà inverarsi. Se vinceranno le forze europeiste si aprirà una finestra di possibilità per decisioni storiche sul completamento dell’unione economica e monetaria, sulla creazione di una difesa europea, e di un apparato europeo per la sicurezza interna, per il contrasto al terrorismo e il controllo delle frontiere.
Il successo della Marcia per l’Europa nelle varie città mostra che se le leadership politiche sapranno prendere l’iniziativa c’è un bacino di consenso per l’Europa che può mobilitarsi e sostenerle. La vera battaglia per l’Europa è cominciata. L’essenziale è non farsi distrarre da ciò che non è essenziale, come la Brexit, che è la priorità del Regno Unito, ma non può esserlo per l’Unione. L’UE, la sua classe politica e i suoi cittadini devono concentrarsi sulle riforme necessarie a far funzionare l’Unione e metterla in grado di rilanciare l’economica e l’occupazione nel quadro della transizione alla green economy, di affrontare le crisi geopolitiche tutto intorno all’Europa e stabilizzare l’area di vicinato, di gestire i flussi di rifugiati e migranti che quelle crisi alimentano, di difendere i valori e gli interessi europei nel quadro del riassetto in corso dell’ordine mondiale.
L’Europa è il terreno delle grandi sfide, e dello sguardo lungo, contro la veduta corta che attanaglia le classi politiche nazionali. I cittadini europei hanno iniziato a schierarsi, con e per l’Europa.
*Professore associato di Filosofia politica e Direttore del Centro di Ricerca sui processi di integrazione e governance multi-livello dell’Università eCampus; per il CSF, editor di Perspectives on Federalism e del Bibliographical Bulletin on Federalism.
Pubblicato sul sito del Centro Studi sul Federalismo il 29 marzo 2017.