Bruxelles – I Ventisette devono essere uniti. Lo ripetono praticamente tutti, in tempi di Brexit e di test sulla tenuta del progetto comunitario. Ma la spartizione dell’eredità è sempre motivo di tensioni, anche per le famiglie più affiatate, figurarsi in quelle che affiatate proprio non sono. La Brexit apre la partita, non meno indolore di quella del divorzio, di cosa fare delle aziende che vogliono lasciare il Paese per destinazioni che diano maggiori garanzie per il futuro e di quegli organismi comunitari che si trovano in territorio che comunitario non sarà più. L’Eba, l’Autorità bancaria europea, l’organismo comunitario responsabile della sorveglianza del mercato bancario, è oggetto di attenzioni di più di una città. La vorrebbero a Francoforte, già sede della Bce, per creare una capitale finanziaria dell’Ue. La vorrebbero in Irlanda, e di questo desiderio di “scippare” l’organismo ai vicini britannici non ha fatto mistero il ministro delle Finanze di Dublino, Michael Noonan. Farebbe gola anche a Vienna, Parigi e Amsterdam. Appetiti che hanno indotto il Lussemburgo a rompere il silenzio e uscire allo scoperto. L’Eba deve essere trasferita nel granducato.
Il piccolo Stato membro ha ufficialmente rivendicato il diritto di avere per sé l’Autorità bancaria europea guidata dall’italiano Andrea Enria (a proposito, l’Italia per ora sembra non essersi fatta avanti) sulla base di un principio giuridico sottoscritto nel lontano 1965. Si tratta dell’articolo 10 della decisione sulle sedi comunitarie allegata al Trattato di fusione, che prevede che “i governi degli Stati membri sono disposti ad installare o a trasferire a Lussemburgo, purché ne sia garantito il buon funzionamento, altri organismi e servizi comunitari, segnatamente nel settore finanziario”. L’Eba spetterebbe di diritto ai lussemburghesi, secondo il governo del granducato. Il primo ministro Xavier Bettel ha scritto una lettera ai presidenti di Commissione e Consiglio Ue per assicurare che “le autorità lussemburghesi sono pronte a offrire le migliori condizioni per accogliere l’Eba”, e il portavoce dell’esecutivo ha ricordato che se la Bce è in Germania e l’Eba attualmente in Regno Unito è per ‘gentile concessione’ del Lussemburgo che ha concesso eccezioni all’accordo del 1965 permettendone la deroga. Deroga che non si vuole rinnovare.
Nessun negoziato parallelo sui futuri rapporti euro-britannici finché non sarà definita l’uscita di Londra dall’Ue. Anche questo è un concetto sentito ripetere più volte, nell’Europa dell’era Brexit. Ma trattative parallele per la dote britannica sono già in corso. Il Belgio è pronta ad accogliere i Llody’s di Londra, che hanno scelto di spostare l’attività a Bruxelles sulla scia degli esiti del referendum del 23 giugno 2016 e le incertezze che ne derivano. Lo ha confermato il ministro delle Finanze del piccolo regno, Johan Van Overtveldt, dicendosi “molto felice” del fatto che un’istituzione internazionale “rispettata e di grande reputazione” come Lloyd abbia scelto la capitale belga e dell’Ue per ‘reinventarsi’ aprendo una filiale in città. Un colpo sfuggito all’Italia, che pure aveva annunciato l’intenzione di creare una no-tax area a Milano per attirare imprese e operatori in fuga da Londra e dintorni. Era un progetto di Matteo Renzi, che nel frattempo ha perso il timone del Paese. Il suo successore a palazzo Chigi, a quanto pare, è indietro in questa corsa all’oro. Gli altri si stanno muovendo, e l’Italia rischia di restare a guardare. La disputa per i gioielli di famiglia europei è cominciata.