Bruxelles – Gli Stati membri possono vietare la coltivazione di mais ogm, ma a determinate condizioni. Prima di imporre il divieto bisogna dimostrare che un’eventuale messa in commercio del prodotto pone “un rischio manifesto e grave» per la salute umana, la salute degli animali e per l’ambiente”. Lo ha stabilito l’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Ue, Michal Bobek, nel caso sollevato a Lussemburgo dal tribunale di Udine. Un caso italiano, dunque, ma che rischia di creare precedenti importanti per tutta l’Unione. Le conclusioni dell’avvocato generale non fanno giurisprudenza, non sono vincolanti, né creano diritto. Non è una sentenza, quindi. Però di norma la Corte nel prendere le sue decisioni segue le indicazioni dell’avvocato generale. Non è detto che sarà questo il caso, ma se fosse accolto il principio di Bobek cosa vorrebbe di nella pratica? Che nel caso specifico l’Italia perderebbe la sua causa contro Giorgio Fidenato e gli altri agricoltori hanno deciso di coltivare il mais Mon810, con le sanzioni penali che verrebbero disapplicate e i risarcimenti del caso che dovranno essere garantiti.
Il caso è stato sollevato dal tribunale di Udine, schiacciato tra il diritto comunitario e quello nazionale. Nel 1998 la Commissione ha autorizzato la messa in commercio del mais Mon810, con l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che ha riconosciuto la fondatezza della decisione dell’esecutivo comunitario. L’Italia ha sollevato dubbi nel 2013, con due rapporti contenenti, secondo le autorità nazionali, le prove della nocività del prodotto transgenico vietandone l’utilizzo. Bruxelles non ha considerato le prove sufficienti per imporre lo stop, ma l’Italia è andata avanti e nel 2014 ha multato Fidenato e gli altri per aver infranto il decreto interministeriale approvato nel frattempo. Cosa fare? Applicare le sanzioni previste sulla base della legislazione nazionale oppure no, nel rispetto delle decisioni comunitarie? E’ questa la domanda posta dal Tribunale di Udine alla Corte di giustizia europea. Non spetta all’organismo di Lussemburgo prendere decisioni in questo caso specifico, ma l’istituzione Ue è chiamata a fornire un ruolo di indirizzo in un caso di interpretazione normativa che rischia di creare una precedente su tutti gli altri casi relativi agli ogm.