Bruxelles – “Un mancato accordo con l’Ue sarebbe il peggiore di tutti i risultati per il Regno Unito, eppure la politica nazionale potrebbe portare la Gran Bretagna verso una ‘Brexfast’ (un ritiro veloce dall’Unione, ndr) lasciando l’Ue il più presto possibile, senza accordo né periodo di transizione”. Lo spiega Fabian Zuleeg, direttore esecutivo ed economista dello European Policy Centre (Epc), in un commento sulla Brexit pubblicato ieri.
Una ‘Brexfast’ farebbe naufragare il progetto di un accordo commerciale comprensivo con l’Ue e renderebbe impossibile qualsiasi disposizione transitoria tra il ritiro e l’entrata in vigore di un nuovo accordo di associazione, sostiene Zuleeg. Una ‘hard Brexit’ danneggerebbe la posizione del Paese verso l’Ue, mentre un accordo con l’Ue permetterebbe alla Gran Bretagna di essere selettiva riguardo l’immigrazione e firmare accordi commerciali col resto del mondo, limitando gli impatti negativi sul commercio e i flussi di investimenti verso e dal Regno Unito, sottolinea il ricercatore dell’Epc.
Quali sono allora gli argomenti a favore di un ritiro il più veloce possibile, col rischio che avvenga senza un accordo? Innanzitutto la questione del pagamento che il Regno Unito dovrà versare all’Unione per far fronte ai propri impegni finanziari. Secondo Zuleeg è “altamente improbabile” che alla fine l’Ue faccia un passo indietro soltanto per venire incontro alle richieste della Gran Bretagna. Di conseguenza, visto che un compromesso su questo punto sarà difficile da concludere, secondo l’economista ciò porterà acqua al mulino dei sostenitori della ‘Brexfast’: “se non riesci a raggiungere un accordo di lungo periodo, allora tanto vale ritirarsi in fretta e firmare accordi con altri Paesi”.
Ma l’argomento più sensibile in favore della ‘Brexfast’ è puramente politico secondo Zuleeg. Nel caso di un mancato accordo, la credibilità del Regno Unito verrebbe compromessa, mettendo a rischio la sua abilità a raggiungere accordi con Paesi terzi, spiega il direttore esecutivo dell’Epc. Eppure, visto l’interesse del governo di Theresa May a tenere il partito Conservatore insieme e a vincere le prossime elezioni, “la politica nazionale potrebbe superare il ragionamento economico”, sostiene Zuleeg.
All’orizzonte resta l’enigma del referendum scozzese: da questo punto di vista una ‘Brexfast’ potrebbe rendere più difficile per la Scozia votare sì all’indipendenza. Ma allo stesso tempo non è da escludere uno scenario di disgregazione del Paese. In tal caso difficilmente l’Ue non accoglierebbe un Paese che rispetta le condizioni di accesso e ha espresso un forte desiderio di continuare a far parte della famiglia europea.