Roma – Theresa May ha ragione a voler affrontare subito la questione dei diritti acquisiti dei cittadini britannici nell’Ue e degli europei nel Regno unito, ma sbaglia a voler perseguire un nuovo accordo di partnership contemporaneamente alle trattative sul divorzio: “Non è possibile fare i due negoziati in parallelo”. Lo dice a Eunews il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, in un’intervista in cui parla del divorzio del Regno Unito dall’Ue, di che ripercussioni abbia sugli equilibri nel Consiglio europeo, di cosa significhi per l’Italia aver perso un alleato sul dossier del mercato unico e, infine, del perché l’Italia non sia tra i 13 paesi che hanno chiesto di avviare una cooperazione rafforzata per la costituzione della Procura europea.
Eunews – Ricevuta la richiesta formale di avvio dei negoziati per la Brexit, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha dichiarato che adesso si tratta di limitare i danni. Una tesi che lei, sottosegretario, ripete da tempo. Che negoziati saranno?
Gozi – Saranno complessi, e in molti si stanno rendendo conto che bisognerà limitare i danni. Per noi la prima priorità è innanzitutto minimizzare l’incertezza che la decisione di ritiro del Regno unito dall’Ue provoca nei cittadini europei, bisogna minimizzare l’incertezza per il mondo dell’impresa e per tutti gli Stati membri che rimangono.
La reazione delle borse di oggi (mercoledì 29) non sembra preoccupante. Nel corso dei negoziati le incertezze possono provocare turbolenze sui mercati finanziari?
Credo di no. Però è fondamentale, subito, organizzare il negoziato per la Brexit. La sequenza di accordi è prima il recesso e poi il nuovo partenariato. Su questo dobbiamo essere molto chiari perché è questo che consente di fare un negoziato efficace, benché complesso, ed è questo che concretamente minimizza l’incertezza del negoziato. Il primo punto è trovare subito un accordo sui diritti acquisiti dei nostri cittadini nel Regno unito e britannici nell’Ue.
Anche May dà priorità ai diritti acquisiti dei cittadini, ma sottolinea più volte nella lettera a Tusk la necessità di negoziare contemporaneamente il divorzio e la nuova relazione.
Non è possibile fare i due negoziati in parallelo. Sia perché i Trattati indicano chiaramente che in un quadro generale bisogna prima procedere con la ‘exit’, sia perché un negoziato così complesso deve avere una prima parte in cui ci si concentra su tutti gli aspetti specifici, giuridici e operativi per un recesso ordinato per poi negoziare il futuro accordo. E questo è nell’interesse di tutti, perché abbiamo due anni a partire da oggi e dobbiamo utilizzarli nella maniera più efficace possibile. Cercare due negoziati paralleli è la maniera più disordinata e meno efficace possibile di procedere.
Dunque per lei il rischio è di far saltare tutto. Meglio nessun accordo che un cattivo accordo, come sostengo in molti nel Regno unito, a partire da May?
Mi è sembrata una dichiarazione molto tattica e poco strategica. Io credo che dobbiamo lavorare per un accordo che includa sia aspetti commerciali che di sicurezza e credo che queste dichiarazioni servano più ad uso interno, per gestire l’opinione pubblica britannica. May stessa lo ricorda nella sua lettera: se nei due anni che abbiamo davanti non riusciamo a trovare gli accordi su tutto, poi scatta la clausola dell’Organizzazione mondiale del commercio (regolare i rapporti commerciali sulla base delle regole fissate dall’Omc, ndr), e noi invece vogliamo organizzare le future relazioni.
Quali devono essere i nuovi rapporti?
Per le future relazioni, un accordo economico, commerciale e un accordo sulla sicurezza – che sono i pilastri della “partnership speciale” di cui parla Theresa May – per noi sono molto importanti. Riteniamo che queste debbano essere due aree di partenariato forte con il Regno unito una volta che il negoziato sarà finito.
Fare “un accordo commerciale senza precedenti” tra Uk e Ue, come nelle intenzioni di May, può diventare il modo in cui Londra si prende la parte di Mercato unico che le piace senza quella che non gradisce, ovvero la libera circolazione delle persone?
No, perché l’accordo, per quanto stretto e speciale che sia, non può dare al Regno unito più di quanto avesse come membro del Mercato unico e dell’Unione europea. E neppure può dargli di più di quanto avrebbe nello Spazio economico europeo, cioè lo status ad esempio della Norvegia e dell’Islanda. Se un accordo originale ci sarà, sarà un accordo molto forte con un paese terzo.
Un altro punto che sta a cuore a May è mantenere aperto il confine con l’Irlanda. Sarebbe un problema per l’Ue?
È una questione molto sensibile ed è un problema soprattutto per la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord, e per l’Unione europea e l’Onu. Quella frontiera è stata superata con gli Accordi del venerdì santo del 1998, fatti in un quadro delle Nazioni unite e di contributo alla pace e alla sicurezza dell’Ue, che ne è anche garante. Dovremo trovare una soluzione soddisfacente che non faccia tornare divisioni in un’isola che le ha in parte superate.
Come cambieranno gli equilibri nel Consiglio europeo senza il Regno unito?
Sono già cambiati. È evidente che ci sono tre Paesi ormai che danno la spinta e che devono assumere una leadership aperta e inclusiva: Francia, Germania e Italia. Anche il gioco di alleanze è in grande cambiamento, perché quei paesi che tradizionalmente vedevano il Regno unito come riferimento negoziale, come riferimento politico in vari passaggi dell’Unione europea, oggi non ce l’hanno più. Credo che, ad esempio, il fatto che noi abbiamo stabilito un rapporto molto forte sull’Unione sociale o sull’immigrazione con la Svezia, che non ha precedenti nella storia dell’Unione europea, credo sia anche in parte una conseguenza della Brexit. Alcuni paesi che tradizionalmente hanno guardato al Regno unito adesso guardano ad altri grandi Paesi, e alcuni guardano all’Italia.
Prima del referendum sulla Brexit, l’Italia aveva stretto una forte sinergia con il Regno unito sul Mercato unico digitale. Cosa vuol dire perdere un partner così su questo dossier strategico?
Per noi è una perdita, certamente, perché nel Consiglio Competitività avevamo assunto una leadership, Italia e Regno unito, per la costruzione del Mercato unico digitale, per il superamento delle barriere. È grazie anche al lavoro fatto con il Regno unito se siamo riusciti a sbloccare alcuni dossier. È stato determinante sul roaming, sulla portabilità dei contenuti digitali. In generale, eravamo riusciti a creare un asse con altri paesi, penso alla Repubblica ceca, all’Austria, all’Estonia, ed era molto importante avere un partner come il Regno unito in questa battaglia. Certamente per noi è una perdita. Dobbiamo riorganizzare un po’ i giochi di alleanze, sapendo che, al di là della retorica, sul digitale Francia e Germania sono molto più prudenti di noi.
Dopo tutto il lavoro fatto dalla presidenza italiana di turno dell’Ue, nel 2014, sulla Procura europea, divago dal tema Brexit per chiederle: perché l’Italia non è tra i 13 Paesi che hanno chiesto la cooperazione rafforzata?
L’Italia ha spinto moltissimo su questo dossier, è vero, e ha spinto moltissimo per dare veri poteri investigativi al Pubblico ministero europeo. Al momento però ci sembra che l’accordo su cui si è aggregata quella massa critica per avviare una cooperazione rafforzata sia molto al ribasso. Ci sono pochi poteri di indagine e pochi poteri di azione. Adesso però il negoziato riparte, proprio per la cooperazione rafforzata, per arrivare a una possibile decisione in giugno. Noi vogliamo usare questa nuova fase per cercare di convincere la Commissione europea e i nostri partner a rafforzare e migliorare alcuni aspetti. Alla luce di come andrà il negoziato che abbiamo già avviato vedremo come continuare. Al momento, la nostra non è assolutamente una posizione contraria all’obiettivo di creare un Pubblico ministero europeo, né siamo contrari alle cooperazioni rafforzate, che per noi devono diventare sempre di più il metodo ordinario di governo dell’Unione. Semplicemente, vogliamo evitare di creare una figura vuota, senza quei veri poteri necessari per delle indagini transnazionali di lotta contro le frodi.