Roma – In nome della lotta al riciclaggio di denaro sporco si rischia di rendere la vita impossibile a chi vuol semplicemente pagare una bolletta dal tabaccaio, magari per conto del padre, o a chi vuol ricaricare la carta prepagata del figlio che studia fuori sede. Tutta colpa di una “gravissima disattenzione del legislatore” segnalata dal professor Ranieri Razzante, docente di legislazione antiriciclaggio presso l’Università di Bologna.
Ieri, in audizione davanti alle commissioni Giustizia e Finanze di Montecitorio, impegnate nell’esame del decreto legislativo per l’attuazione della normativa europea sul riciclaggio, Razzante ha avvertito: pretendendo che “anche i tabaccai debbano fare l’adeguata verifica della clientela per transazioni minori di 15mila euro, stiamo creando un problema ai cittadini”, i quali “si devono far identificare come presunti riciclatori”, anche solo “per voler ricaricare 10 euro su una carta prepagata”. Per il professore, il testo formulato dal governo contiene “un assordo giuridico, ma soprattutto logico”, dal momento che “da un lato cerchiamo di favorire l’uso delle carte di credito per diminuire quello del contante, dall’altra parte, con questa norma, lo rendiamo più difficile”.
Anche Maurizio Pimpinella, presidente dell’Associazione italiana istituti di pagamento (Aiip), ha segnalato la stessa criticità del decreto legislativo. “Una tabaccheria con servizio di pagamento bollettini – ha spiegato – dovrebbe fare l’identificazione completa del soggetto pagante, quindi un figlio che volesse pagare la bolletta per il padre dovrebbe specificare di star pagando per conto terzi, identificarsi lui, identificare il padre, portare la fotocopia del documento dell’intestatario del bollettino”. Un problema che secondo Pimipinella si potrebbe facilmente risolvere prevedendo un tetto di mille euro, sotto il quale non sia necessario procedere a identificazione completa.
Un ulteriore aspetto molto criticato del decreto riguarda la fattispecie della segnalazione tardiva di operazioni sospette, che fissa in 30 giorni il tempo massimo entro il quale si devono segnalare alle autorità le attività sospette. Una norma che “non è mai stata contemplata dalla normativa antiriciclaggio e antiterrorismo dal 1991 a oggi, e non è prevista neppure dalla normativa comunitaria”, ha indicato Dario Focarelli, direttore generale del settore ricerca e regolamentazione dell’Associazione nazionale delle imprese assicuratrici (Ania). Focarelli vede il rischio che tale obbligo comporti “gravi oneri a carico di tutti gli attori del sistema”.
Per Giovanni Sabatini dell’Associazione bancaria italiana (Abi), mettere “sullo stesso piano la segnalazione tardiva e l’omessa segnalazione, e dando dei termini di 30 giorni che sono troppo brevi”, si “squilibra un sistema basato sulla collaborazione attiva tra banche e autorità”. A suo avviso, “questa compressione dei tempi di valutazione innescherebbe una serie di automatismi che porterebbe a segnalazioni di scarsa qualità”, fatte in fretta solo per evitare sanzioni, che vanno dall’1 al 40% dell’importo dell’operazione.
Un problema sul quale ha concordato Aldo Magnoni, responsabile della divisione Ispettorato della Consob, segnalando la “complessità della rilevazione degli elementi di sospetto, che peraltro possono legittimamente diventare evidenti anche molto dopo il compimento delle operazioni”. Per questo, a suo avviso, “la fissazione di un termine convenzionale, peraltro molto breve, per valutare la tardività della segnalazione appare una scelta poco fondata”. Problematica, secondo Magnoni, anche la previsione di applicare le sanzioni per tardiva o omessa segnalazione “non solo al soggetto obbligato, ma anche al personale”.
L’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, con il suo direttore Caludio Clemente, ha fornito ai deputati alcuni numeri che definiscono il quadro in cui si inserirà il decreto antiriciclaggio. “Le segnalazioni di operazioni sospette, all’avvio della riforma legislativa del settore nel 2007, erano poco più di 12mila l’anno”, ha riportato Clemente, mentre “oggi sono ormai oltre 100 mila”, e di queste, ogni anno, “decine di migliaia vengono ritenute meritevoli di sviluppo investigativo e innescano indagini più approfondite”. Nel 2015 sono state “oltre 40mila” e, nello stesso anno, ammontavano a “oltre 18mila le segnalazioni potenzialmente collegate a indagini di criminalità organizzata”.
Ulteriori dati sono stati forniti dal generale Stefano Screpanti, capo del terzo reparto operazioni del comando generale della Guardia di Finanza, il quale ha parlato ci “circa 104mila” segnalazioni di operazioni sospette nel 2016, delle quali 85mila sono già state valutate, e tra queste “poco più di 25mila sono state ritenute non interessanti, mentre 38.146 sono state assegnate al nucleo speciale per gli approfondimenti antiriciclaggio”.