di Manlio Dinucci
Il siluro lanciato attraverso il New York Times – l’accusa a Mosca di violare il Trattato sulle forze nucleari intermedie (INF) – ha colpito l’obiettivo: quello di rendere ancora più tesi i rapporti tra Stati Uniti e Russia, rallentando o impedendo l’apertura di quel negoziato preannunciato da Trump già nella campagna elettorale.
Il siluro porta la firma di Obama, che nel luglio 2014 (subito dopo il putsch di Piazza Maidan e la conseguente crisi con la Russia) accusava Putin di aver testato un missile nucleare da crociera, denominato SSC-X-8, violando il Trattato INF del 1987 che proibisce lo schieramento di missili con base a terra e gittata compresa tra 500 e 5.500 km. Secondo quanto dichiarano anonimi funzionari dell’intelligence USA, ne sono già armati due battaglioni russi, ciascuno dotato di 4 lanciatori mobili e 24 missili a testata nucleare.
Prima di lasciare l’anno scorso la sua carica di Comandante supremo alleato in Europa, il generale Breedlove avvertiva che lo schieramento di questo nuovo missile russo «non può restare senza risposta».
Taceva però sul fatto che la NATO tiene schierate in Europa contro la Russia circa 700 testate nucleari statunitensi, francesi e britanniche, quasi tutte pronte al lancio ventiquattr’ore su ventiquattro. E man mano che si è estesa ad est fin dentro la ex URSS, la NATO ha avvicinato sempre più le sue forze nucleari alla Russia.
Nel quadro di tale strategia si inserisce la decisione, presa dall’amministrazione Obama, di sostituire le 180 bombe nucleari B-61 – installate in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), Germania, Belgio, Olanda e Turchia – con le B61-12: nuove armi nucleari, ciascuna a quattro opzioni di potenza selezionabili a seconda dell’obiettivo da colpire, capaci di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando. Un programma da 10 miliardi di dollari, per cui ogni B61-12 costerà più del suo peso in oro.
Allo stesso tempo gli USA hanno realizzato in Romania la prima batteria missilistica terrestre della “difesa anti-missile”, che sarà seguita da un’altra in Polonia, composta da missili Aegis, già installati a bordo di 4 navi da guerra USA dislocate nel Mediterraneo e Mar Nero.
È il cosiddetto “scudo” la cui funzione è in realtà offensiva: se riuscissero a realizzarlo, USA e NATO terrebbero la Russia sotto la minaccia di un first strike nucleare, fidando sulla capacità dello “scudo” di neutralizzare la rappresaglia.
Per di più, il sistema di lancio verticale MK 41 della Lockheed Martin, installato sulle navi e nella base in Romania, è in grado di lanciare, secondo le specifiche tecniche fornite dalla stessa costruttrice, «missili per tutte le missioni», comprese quelle di «attacco contro obiettivi terrestri con missili da crociera Tomahawk», armabili anche di testate nucleari.
Mosca ha avvertito che queste batterie, essendo in grado di lanciare anche missili nucleari, costituiscono una violazione del Trattato INF.
Che cosa fa l’Unione europea in tale situazione?
Mentre declama il suo impegno per il disarmo nucleare, sta concependo nei suoi circoli politici quella che il New York Times definisce «una idea prima impensabile: un programma di armamenti nucleari UE».
Secondo tale piano, l’arsenale nucleare francese sarebbe «riprogrammato per proteggere il resto dell’Europa e posto sotto un comune comando europeo», che lo finanzierebbe attraverso un fondo comune. Ciò avverrebbe «se l’Europa non potesse più contare sulla protezione americana». In altre parole: qualora Trump, accordandosi con Putin, non schierasse più le B61-12 in Europa, ci penserebbe la UE a proseguire il confronto nucleare con la Russia.
Pubblicato sul manifesto il 14 marzo 2017.