Bruxelles – I governi dei Ventisette sono al lavoro per trovare una via d’uscita dignitosa alla dichiarazione solenne che dovranno adottare il prossimo 25 marzo a Roma, in occasione delle celebrazioni per i 60 anni dei Trattati di Roma. Il governo italiano, già a i tempi di Matteo Renzi Premier, aveva dichiarato di aspettarsi molto da quella giornata, che da Roma doveva uscire il disegno della nuova Europa, senza la Gran Bretagna, ma con tanta forza, idee e ottimismo per andare avanti.
Un momento di riflessione era necessario, gli ultimi anni hanno dimostrato come l’Unione abbia bisogno di nuovi contenuti per evitare un disfacimento di fatto. La Brexit è stata il pretesto per fissare un calendario di appuntamenti per pensare al futuro, l’abbandono di un Paese così importante non poteva passare senza che chi resta si mostri pronto a procedere “sempre più unito”. Si iniziò con la riunione di Bratislava, dalla quale uscì quasi nulla e in particolare il governo italiano sottolineò la pochezza del documento, nella speranza di trasformare l’appuntamento di Roma in una vera tappa ri-fondativa dell’Unione europea del futuro.
E a Roma si è lavorato molto in questo senso, si sono lanciate proposte, si sono cercate alleanze. Il sottosegretario Sandro Gozi ha tenuto il filo tra il governo Renzi e questo di Paolo Gentiloni, ha girato per l’Europa ed ha cercato di fare dell’appuntamento del 25 la data fondamentale che si desiderava. Ma probabilmente non sarà un successo. Probabilmente il lavoro fatto da Italia, Germania, Francia sull’Europa a più velocità non sarà coronato da un’esplicita introduzione nel programma dell’Europa di domani. Al di là della giustezza o meno del principio (che ad esempio in questo giornale condividiamo, ma sono molte e ragionevoli le posizioni che vi si oppongono) la questione è che a Roma la linea non passerà in maniera nitida, ma sarà annacquata in una dichiarazione che sarà solo un’altra tappa e non un nuovo punto di partenza.
Si indicano i paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia, che in realtà sono sempre meno uniti viste le politiche nazionaliste di Varsavia, che imbarazzano anche i tre Paesi amici) come i principali oppositori delle due velocità, perché temono di non farcela, di essere condannati a restare sempre indietro. Ma dietro questo gruppo, in maniera più discreta, si nascondono molti altri Paesi, quelli “medi e piccoli”, come anche la ricca ed efficiente Danimarca, che temono di essere troppo piccoli per poter stare dietro a scelte che Paesi più grandi (e nel complesso economicamente molto più pesanti) possono decidere di fare. La Danimarca, che si tiene fuori ad esempio dalla Carta dei diritti fondamentali (con la Gran Bretagna) non vuole però che questa, di fatto, doppia velocità, possa essere decisa da altri e non da sé stessa. E’ un esempio, in fondo, di egoismo, come succede per tanti Paesi, sulle banche, sull’immigrazione, sulla procura europea. E’ uno dei motivi per cui la Dichiarazione di Roma sarà, probabilmente, un testo deludente. Va poi considerata la difficile posizione dell’Olanda, dove benché non vittorioso alle elezioni il partito anti-europeo di Geert Wilders continua a dettare l’agenda alle forze “tradizionali”. E anche la Francia, dove sta andando? Le posizioni del presidente François Hollande contano oramai poco, tra un paio di mesi sarà fuori dall’Eliseo e si aprirà una pagina, comunque vada, del tutto nuova. Va ricordato che oltre alle presidenziali ci saranno anche le elezioni legislative, e bisognerà vedere quanti parlamentari questa volta Marine Le Pen riuscirà a far eleggere; il rischio di un blocco sulle politiche pro europee (oltre alle altre) va tenuto in conto.
Oggi a Bruxelles si riuniranno ancora i diplomatici del Ventisette per redigere il testo, si oscilla tra le due velocità e il fare “meno ma meglio”, sostenuto da sempre dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, altro oppositore delle due velocità, perché, di fatto, accordi di questo tipo diminuiscono, alle volte anche notevolmente, il ruolo e il peso della Commissione.
Gira a Bruxelles un testo sul quale si starebbe lavorando oggi, che dice: “Lavoreremo insieme ogni volta che è possibile, a ritmi e intensità differenti quando necessario, come abbiamo fatto in passato all’interno delle previsioni dei Trattati, e lasciando aperte le porte a chi vuole aggiungersi più tardi. La nostra Unione non è divisa ed è indivisibile”. Il testo iniziale era un po’ più esplicito, diceva che i Paesi dell’Ue lavorano insieme “con l’intesa che qualcuno di noi può procedere in maniera più stretta, avanzata e veloce in alcune aree”.
Chissà cosa uscirà questa sera. Certo è che i presupposti per una nuova “Dichiarazione di Roma”, che governi l’Unione per i prossimi decenni, non ci sono. Purtroppo.