Bruxelles – Se a un fallito, in buona fede, vengono cancellati i debiti, con questi può essere cancellata anche l’Iva non pagata. Lo stabilisce oggi una sentenza della Corte europea di Giustizia.
La storia riguarda il signor Marco Identi, socio accomandatario della società fallita PVA S.a.s. di Identi Marco & C. nonché fallito in proprio (cioè personalmente), il 14 aprile 2008, che ha ottenuto dal Tribunale di Mondovì un decreto di esdebitazione.
L’esdebitazione è una forma di liberazione del fallito dai debiti: questo istituto, previsto dalla legge fallimentare italiana, tende a favorire l’imprenditore “onesto ma sfortunato”. Il Tribunale fallimentare, dopo una valutazione del caso concreto, decide quindi se il fallito è persona meritevole di accedere all’istituto dell’esdebitazione. Liberato dai debiti, il soggetto potrà ripartire da zero nella sua attività imprenditoriale.
I debiti Iva non sono espressamente esclusi dall’elenco dei debiti che vengono “cancellati” con l’esdebitazione, ma l’Agenzia delle Entrate aveva emesso contro il signor Identi una cartella di pagamento con cui gli aveva richiesto somme a titolo di Iva e Irap per l’anno d’imposta 2003.
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte aveva però dichiarato illegittima questa cartella di pagamento, proprio a causa dell’intervenuta esdebitazione del signor Identi.
L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per Cassazione, i cui giudici hanno posto una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, chiedendo se la normativa italiana, che prevede l’inesigibilità dei debiti Ivain favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione, sia compatibile con il diritto dell’Unione e in particolare con la direttiva 77/388 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari. La Corte di Cassazione ha chiesto anche alla Corte se la normativa sull’esdebitazione non costituisca un aiuto di Stato.
Con la sentenza odierna, la Corte di giustizia ripercorre le argomentazioni presentate in una sentenza del 7 aprile 2016 nella causa C-546/14, Degano Trasporti, che “ne costituisce il presupposto logico”.
Con la sentenza Degano Trasporti, la Corte aveva stabilito la compatibilità, rispetto alla normativa europea sull’Iva, della legge fallimentare italiana, nella parte in cui prevede la possibilità per l’impresa debitrice di proporre in sede di concordato preventivo il pagamento solo parziale dell’Iva dovuta allo Stato, qualora emerga che la liquidazione fallimentare non potrebbe comunque garantire un versamento maggiore. Il meccanismo del concordato preventivo con versamento parziale dell’Iva in sintesi, non implica una rinuncia generale e indiscriminata al diritto-dovere di riscuotere l’imposta.
Conseguentemente, la Corte stabilisce, con la sentenza di oggi, che il diritto dell’Unione non osta a una legislazione nazionale in base alla quale i debiti Iva del soggetto ammesso all’esdebitazione siano dichiarati inesigibili.
La Corte, poi, esclude che l’esdebitazione dia luogo ad un aiuto di Stato, mancando il requisito della selettività del vantaggio, che è un elemento costitutivo della nozione di “aiuto di Stato”. Ed invero, l’esdebitazione non ha il fine di favorire “talune imprese o talune produzioni”, dice la Corte, rispetto ad altre che si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga e pertanto non istituisce un trattamento differenziato idoneo, in sostanza, ad essere qualificato come discriminatorio.