Bruxelles – Gli Stati membri “possono prevedere un tetto annuale per le detrazioni Iva”, a condizione che l’imprenditore possa recuperare tutto il credito “entro un termine ragionevole”. È quanto affermato dalla Corte di giustizia europea, nella sentenza che ha coinvolto un’azienda italiana e l’amministrazione finanziaria.
La questione nasce nel 2013 quando la società italiana Bimotor, vantando un credito Iva nei confronti dell’erario italiano di oltre un milione di euro, decideva di compensare totalmente le imposte dovute utilizzando una parte di tale credito (775 mila euro). La vicenda arriva sotto la lente dei giudici di Lussemburgo quando la società italiana, ricevuta una richiesta di pagamento per tasse non versate di importo pari a 75 mila euro con tanto di interessi e sanzioni, decide di adire la Corte. Per la legge italiana, la Bimotor aveva superato il “tetto” di 700 mila euro, ecceduto il quale non è possibile per l’imprenditore compensare le imposte dovute con il credito detenuto.
Con il verdetto, La Corte stabilisce che il limite di compensazione previsto dalla legge italiana “può essere giustificato dalla lotta all’evasione fiscale”. L’eventuale carattere fittizio di talune operazioni, infatti, “potrebbe essere accertato solo dopo vari anni”, dichiarano i giudici. Il “tetto” seve quindi a circoscrivere entro limiti ragionevoli la portata del potenziale danno alle casse dello Stato per comportamenti illeciti dei contribuenti. Tuttavia, sempre secondo i giudici, gli Stati membri devono garantire l’applicazione della direttiva europea del 2006 sull’Iva, rispettando il principio di proporzionalità e consentendo agli imprenditori di poter usufruire di una totale detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, potendo recuperare il credito entro tempi ragionevoli.