di Stefano Montaldo*
Il libro bianco sul futuro dell’Europa, pubblicato dalla Commissione europea, ha l’ambizione di contribuire al confronto sulle future strategie e direzioni del processo di integrazione. La road map annunciata dalla Commissione prospetta, per l’immediato futuro, un (auspicabilmente) ampio dibattito in sede statale e sovranazionale sulle tappe che dovranno condurre l’Unione al 2025. Condurre o, forse, più mestamente, traghettare. Se infatti la definizione dei nuovi traguardi dell’Unione europea (UE) muove dalle premesse poste dal documento della Commissione, si profila all’orizzonte un periodo di profonda frustrazione degli ideali e dei valori sui quali poggia il comune edificio europeo. Ad una visione di insieme il libro bianco appare inadeguato rispetto al lungimirante obiettivo di stimolo e riflessione che esso si pone.
Crisi esistenziale ed esame di coscienza
Il libro bianco deve essere letto unitamente all’annuale relazione al Parlamento europeo sullo stato dell’Unione, presentata da Jean-Claude Juncker nel settembre 2016. In quella sede, il presidente della Commissione aveva sottolineato la “crisi esistenziale” del processo di integrazione, soffocato dalla difficoltà di reagire tempestivamente e con efficacia alle sfide dell’attualità. L’esame di coscienza nel confessionale parlamentare rappresenta una summa del corposo cahier de doléances consolidatosi sotto i colpi della stagnazione economica e dei flussi migratori, amplificato dall’attrattiva di retoriche nazionalistiche o, quanto meno, particolaristiche.
Nulla di nuovo, verrebbe da dire. In fondo, Jean Monnet aveva preconizzato che l’Europa sarebbe nata da situazioni di crisi e sarebbe stata forgiata, nel tempo, dalle soluzioni ad esse date. A ben vedere, nondimeno, lo stato di emergenza permanente dell’UE si caratterizza oggi per due elementi di discontinuità con il passato, dei quali è intriso l’approccio della Commissione.
La frustrazione della politica
In primo luogo, sul fronte politico, si delinea un panorama tanto fosco quanto incerto, rispetto al quale l’ambizione di «un’unione sempre più stretta fra i popoli europei» annunciata nei preamboli dei trattati appare relegata ad una ingenua chimera. La costruzione del processo di integrazione ha sempre restituito l’immagine – per ricorrere all’efficace quanto immediata descrizione di Bino Olivi – di «un’Europa difficile». Ciononostante, mai prima d’ora, al cospetto delle sue alterne vicende – persino dopo il fallimento del progetto di trattato costituzionale nel 2005 – il comune percorso europeo ha conosciuto l’odierna incapacità politica di reagire in maniera corale alle sfide dell’attualità. Un’incapacità multilivello, che vede in prima linea una generazione miope di leader nazionali, ma che trova il controcanto di una Commissione europea destituita di autorevolezza.
Questa circostanza si riflette nello iato fra le enunciazioni di principio che inaugurano il libro bianco ed i cinque possibili percorsi evolutivi ivi descritti. Le profetiche elaborazioni fondative del pensiero politico europeista meriterebbero ben altra sorte di un programma politico confuso, capace di accostare l’uno ed il suo contrario, dimentico del ruolo di custode dei trattati e degli interessi dell’Unione che la Commissione è istituzionalmente chiamata ad esercitare. Un contributo al ribasso per un dibattito nell’ambito del quale l’Unione sembra avere ben pochi sostenitori.
La frustrazione del diritto
In secondo luogo, occorre inquadrare il libro bianco nell’attuale contesto giuridico, prospettiva elettiva di chi scrive. I recenti documenti della Commissione denotano come, negli ultimi anni, ad una politica frastornata si sia accompagnato il silenzio – o forse la voluta tacitazione? – del diritto. Tradizionalmente, grazie all’impulso normativo della Commissione ed alla giurisprudenza della Corte di giustizia, il diritto ha rappresentato un potente strumento di integrazione e, in definitiva, un refugium peccatorum per le difficoltà della politica.
L’attuale frangente denota, al contrario, l’abdicazione della tecnica giuridica al ruolo di silenzioso ma efficace fattore europeizzante. Anche in questo caso, la Commissione non è la sola responsabile (si pensi al colpevole ritardo dei giuristi in ordine, ad esempio, al dibattito sulla nuova configurazione della governance economica europea), ma ha contribuito in maniera decisiva a quella che è stata definita una disintegration through law, ossia un radicale snaturamento della funzione positiva e propositiva da sempre rivestita dal diritto. Con una infausta combinazione di elementi, la crisi della politica e quella del diritto hanno condotto a soluzioni normative formalmente esterne all’ordinamento dell’Unione – come gli accordi internazionali in tema di governance economica – o del tutto eccentriche, come nel caso della dichiarazione UE-Turchia relativa alla crisi migratoria.
Il libro bianco conferma questa tendenza e certifica la difficoltà di assicurare l’evoluzione del processo di integrazione attraverso le procedure e gli strumenti normativi dei quali gli Stati hanno dotato l’Unione. Paradossalmente, negli scenari proposti dalla Commissione, proprio i settori nei quali l’adozione di norme comuni si è dimostrata – o potrebbe risultare – un efficace approccio a complesse sfide di portata europea appaiono i più sacrificati e sacrificabili sull’altare di vaghe aspettative sovrane. Un esempio su tutti: con buona pace della sua elezione a prioritario obiettivo dell’Unione a seguito della riforma col Trattato di Lisbona, la realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia è declinata come un problema suscettibile di essere riconsiderato alla luce dei particolarismi nazionali.
Un’Europa dei piccoli passi… all’indietro?
Un’Europa dei piccoli e timidi passi non è un buon presagio per il confronto sul futuro dell’Unione. In questa prospettiva, si distingue il contributo del Parlamento europeo, i cui recenti rapporti sulle possibili evoluzioni della struttura istituzionale UE e sulla capacità fiscale dell’Unione appaiono preziosi per chiarezza ed ambizione. Le proposte degli europarlamentari hanno il merito di contrapporsi ai diffusi auspici per un’Europa – per così dire – a molte velocità, la cui coerenza interna sarebbe nel lungo periodo minata dai mutevoli umori degli Stati membri. Merita in particolare una sottolineatura l’idea che le soluzioni allo stato di crisi permanente dell’UE debbano avere origine nell’ordinamento europeo stesso e nella sua evoluzione, in assonanza con lo spirito che ha permeato l’avvio dell’esperienza politica e giuridica europea.
L’auspicio è dunque che il dibattito sul futuro dell’Unione muova da questa più coraggiosa prospettiva, già a cominciare dal Consiglio europeo del 25 marzo, sul quale grava la pesante responsabilità di chiarire in che misura le forze centrifughe troveranno adeguato contrasto nel confronto sull’assetto dell’UE.
*Ricercatore di diritto dell’Unione europea – Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.
Pubblicato sul sito del Centro Studi del Federalismo l’8 marzo 2017.