Bruxelles – Dopo l’inchiesta pubblicata da “Repubblica” sugli eurodeputati accusati di irregolarità sui rimborsi, ai danni delle casse del Parlamento europeo, fonti dello stesso Europarlamento hanno precisato alcune circostanza riguardanti in particolare gli eletti italiani citati in uno degli articoli.
Le posizioni dei sei europarlamentari italiani citati nell’articolo di “Repubblica” sono diverse: in alcuni casi (Lara Comi, Riccardo Nencini) sono state già chiarite; in altri (Mario Borghezio, Laura Agea, Daniela Aiuto) sono ancora in corso gli accertamenti da parte dei servizi finanziari del Parlamento di Strasburgo, mentre sulla vicenda di Antonio Panzeri è ancora pendente un ricorso dell’eurodeputato alla Corte di Giustizia europea.
Riguardo a Lara Comi (Forza Italia), le fonti hanno confermato quanto lei stessa ha spiegato in un comunicato alla stampa ieri: e cioè che fino al 2009 non c’era un divieto di impiegare come assistenti i parenti stretti dell’europarlamentare. Dopo essere stata eletta, nel 2009, la Comi aveva preso come assistente la madre, Luisa Costa, interpretando male una deroga dello statuto degli eurodeputati, che proprio con l’inizio di quella legislatura aveva introdotto la nuova norma contro l’assunzione di coniugi, partner stabili, genitori, figli, fratelli e sorelle degli eletti.
Era tuttavia previsto un periodo di transizione, fino al 2014, in cui erano esentati dal divieto gli assistenti assunti durante la legislazione precedente. La deroga, dunque, c’era, ma non poteva essere applicata a persone impiegate dopo le elezioni del 2009. Lara Comi, comunque, sta rimborsando alle casse dell’Europarlamento, con trattenute mensili sul proprio stipendio, i 126.000 euro corrisposti alla madre.
Per Riccardo Nencini (Pd), le somme contestate a seguito di un’inchiesta del 2006 dell’Olaf (l’Ufficio anti frode dell’Ue) riguardavano irregolarità nelle spese di viaggio (46.550,88 euro) e nel pagamento degli assistenti (409.352,16 euro), per un totale di 455.903,04 euro.
Con una sentenza del 13 novembre 2014 (caso C 447/13 P e caso T 560/10) la Corte europea di Giustizia, dopo un ricorso di Nencini, ha però annullato le decisioni dell’ottobre 2010 del Segretario Generale del Parlamento europeo e dei suoi servizi finanziari di chiedere il rimborso di quella cifra, perché la procedura era iniziata dopo la scadenza del periodo in cui poteva essere contestata l’infrazione. Il Parlamento europeo è stato anche condannato a pagare le proprie spese legali e tre quarti di quelle sostenute da Nencini per l’appello.
Le vicende riguardanti Mario Borghezio (Lega Nord) e Laura Agea (M5S) sono simili: in entrambi i casi, gli eurodeputati avevano assunto come assistenti delle persone che svolgevano contemporaneamente un’altra attività. In principio, questo non è vietato dalle norme in vigore, ma i servizi dell’Europarlamento possono chiedere le prove che gli assistenti abbiano il tempo e siano effettivamente in grado di svolgere le attività per cui sono remunerati. Ed è quello che è successo sia per l’assistente di Borghezio nella legislatura 2009-2014, Massimiliano Bastoni, che era anche consigliere comunale a Milano, che per l’imprenditore assunto da Laura Agea in questa legislatura. Le verifiche di servizi del Parlamento europeo sono in corso, e per ora, in entrambi i casi, non è possibile trarre conclusioni.
Più insolita è la vicenda di Daniela Aiuto: l’europarlamentare del M5S ha utilizzato rimborsi della “general allowance” per pagare la fatture di studi sul turismo commissionati a consulenti esterni, studi che sono risultati poi copiati da pubblicazioni già esistenti. In questo caso, hanno puntualizzato le fonti del Parlamento europeo, si deve ancora stabilire se la Aiuto sia direttamente responsabile del plagio, e dunque della frode, o se invece – com’è probabile – non ne sia stata vittima. L’eurodeputata del M5S sta collaborando con i servizi del Parlamento europeo e fornendo rendicontazioni proprio per dimostrare di essere stata raggirata dai suoi consulenti.
Molto più complicato appare, infine, il caso di Antonio Panzeri (eletto nel Pd, ora Mpd), per il quale è ancora pendente un ricorso dell’eurodeputato presso la Corte europea di Giustizia. La vicenda riguarda la legislatura 2004-2009, e il contratto di prestazione di servizi di assistenza parlamentare stipulato da Panzeri nel 2004 con l’associazione “Milano Più Europa”.
Il 19 luglio 2016, un’ordinanza del Tribunale di primo grado dell’Ue (caso T 677/15) aveva respinto un primo ricorso di Panzeri contro la richiesta del Parlamento europeo di rimborsare la somma di 83.764,34 euro, indebitamente percepita dall’associazione incaricata dell’assistenza parlamentare. L’ordinanza lo aveva condannato a pagare gli 83.764 euro, e a sostenere anche le spese legali della Commissione europea ma non quelle del Parlamento europeo (entrambe le istituzioni avevano sollevato un’eccezione di irricevibilità contro il ricorso di Panzeri).
La vicenda era iniziata con un’indagine dell’Olaf avviata a novembre 2009. Nel luglio 2012, il Segretario Generale del Parlamento europeo notificava a Panzeri che, in base alle prove fornite dall’Olaf, il contratto con “Milano Più Europa” violava la regolamentazione riguardante le spese e le indennità degli eurodeputati, e che era stato indebitamente corrisposto all’Associazione un importo 125.774,34 euro. Nel settembre 2015, considerati i rimborsi già effettuati e la documentazione fornita da Panzeri, il Parlamento europeo aveva ridotto la richiesta di rimborso a 83.764,34 euro. Inutile dire che, anche in questo caso, sarà possibile trarre delle conclusioni definitive solo dopo la sentenza d’appello della Corte europea di Giustizia.
Notizia tratta da Askanews.