Bruxelles – Sono state tra i protagonisti della campagna elettorale di Donald Trump negli Stati Uniti, e sono sempre più un argomento di dibattito nel mondo occidentale. Le fake news, o semplicemente bufale nel gergo giornalistico, costituiscono un problema serio, per i professionisti dell’informazione, ma anche per legislatori e soprattutto per gli ignari cittadini. Il tema è stato oggi dibattuto in un evento dal titolo “Fake news in social media as reality shapers”, ospitato dal gruppo di sinistra Gue al Parlamento europeo di Bruxelles.
“L’avvento della comunicazione su internet era stato accompagnato da promesse oggi inattese: più che a maggior pluralismo, oggi assistiamo a una concentrazione delle proprietà dei mezzi di informazione nelle mani dei giganti del web, come Facebook e Google. Il che è un fattore di rischio per la democrazia”, ha detto Curzio Maltese, deputato di L’Altra sinistra con Tsipras, in apertura del dibattito. “Manca a livello europeo una nuova regolamentazione su e-commerce e telecomunicazioni. C’è forte interesse a mantenere questo finto far west che consente grandi oligopoli. La politica è in ritardo”, ha poi aggiunto il giornalista di Repubblica.
Se la politica è in ritardo tocca a organismi indipendenti e spesso di formazione recente combattere le bufale. Un esempio in questo senso arriva dalla Spagna, dove è nato da qualche tempo ‘Maldido Bulo’, un collettivo di sei giornaliste che si occupa di smentire le bufale diffuse in rete. “Spesso leggiamo le notizie su whatsapp, o sui social, senza conoscerne la provenienza. Ciò rende più difficile valutare la veridicità di una notizia per i lettori”, ha messo in guardia Clara Jimenez Cruz, una dei membri di ‘Maldito Bulo’. Inoltre “ci sono dei siti internet che diffondono notizie false, ma di solito pubblicano notizie verificate. Un aspetto che rende più difficile individuare i produttori di fake news”, ha aggiunto Andreas Veglis, professore di giornalismo all’Università di Salonicco.
A differenza di quel che si potrebbe pensare le ‘fake news’ non sono un aspetto del tutto nuovo: “Nel corso della storia ci sono stati molti esempi di notizie false pubblicate dai giornali”, ha ricordato il professor Veglis. Quello che cambia oggi è semmai la possibilità di ognuno di noi di “farsi giornalista” (ri)diffondendo notizie nella società, soprattutto grazie a nuovi strumenti come Twitter e Facebook. Ne sa qualcosa Paul Horner, autore di satira statunitense, che per mestiere produce ‘fake news’ a fin di bene diventato famoso nel corso della campagna elettorale americana per alcune sue notizie falsamente pro-Trump pubblicate da grandi media americani. “Personalmente scrivo storie con l’intento di svelare l’assurdità di certe notizie e di certi personaggi. Il dramma è che i sostenitori di Trump hanno creduto a molte di queste notizie. Come quando ho scritto delle persone pagate per protestare ai comizi dell’attuale presidente Usa”, si è difeso Horner. “Le vere ‘fake news’ sono quelle costruite per sfruttare il profitto economico della pubblicità, o con lo scopo di disinformare il pubblico”.
Come fare allora? “Serve spirito critico da parte dei cittadini per filtrare le notizie false che ci circondano”, ha risposto Michel Christophe, educatore indipendente, che ha invocato la necessità di abituare le persone a selezionare le informazioni sul web fin dall’infanzia, citando un altro esempio virtuoso, stavolta dalla Francia: “Nelle scuole elementari francesi esistono corsi di formazione ai media in cui si insegna ai bambini come come riconoscere le bufale”. In attesa di nuove leggi, a livello statale o ancora meglio europeo, si comincia almeno a proteggere le nuove generazioni, per evitare danni ancora maggiori.