Bruxelles – A Bologna un Big Mac Menù servito nei punti vendita in frachising costa 34 centesimi in più di un vero ristorante McDonald’s. Questo in virtù delle politiche immobiliari della catena di ristoranti fast-food, che impone prezzi di affitto più alti agli operatori affiliati. La coalizione delle associazioni dei consumatori Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e consumatori), Mdc (Movimento difesa del cittadino), e Cittadinanzattiva, con il sostegno del Seiu (Service Employees International Union) rilancia le accuse nei confronti del colosso americano nel nuovo rapporto sul noto brand. Altro che Happy meal: un pasto da “Mac” nasconde pratiche sleali: si lucra sulla vendita e gli affitti dei locali commerciali. Una nuova denuncia che si aggiunge a quelle già presentate alla Commissione europea, e che fornisce ulteriore materiale ai servizi della direzione generale per la Concorrenza che contro McDonald’s ha aperto un’inchiesta.
Il dossier aperto. A carico del più noto marchio di fast-food un’indagine che si concentra sui costi che lo stesso impone ai suoi ristoratori in franchising. Nel mirino in particolare i termini dei contratti ritenuti eccessivamente duri per quanto riguarda gli affitti, la durata e le condizioni di interruzione del contratto. Secondo Codacons-Mdc-Cittadinanzattiva-Seiu “di fatto McDonald’s possiede praticamente tutte le proprietà immobiliari occupate dai ristoranti in franchising (circa 5.000 in tutto il mondo), costringendoli a stare in affitto e trae la maggior parte dei suoi profitti da questa attività immobiliare piuttosto che dalla vendita di hamburger”. Queste pratiche, limitando i margini di profitto dei ristoranti in franchising, possono avere un effetto negativo sui consumatori (prezzi più alti) e sui lavoratori (salari più bassi).
Nuove accuse. Secondo il nuovo rapporto nel 2014 McDonald’s ha guadagnato 2,6 miliardi di Euro dalle vendite e 4 miliardi di Euro dalla locazione di beni immobiliari, gli affitti imposti “rappresentano il quadruplo del loro reale costo immobiliare negli Stati Uniti, più del triplo in Europa”, con i ristoratori in franchising che pagherebbero “più in affitto rispetto ai ristoranti posseduti e gestiti da McDonald’s e affitti più alti in percentuale di vendite rispetto a quelli pagati dai ristoratori in franchising in catene concorrenti”.
Paga il consumatore. I maggiori costi imposti da McDonald’s ai suoi affiliati che vengono scaricati sul consumatore finale. A Bologna, ad esempio, lo stesso piatto servito nei punti vendita in frachising – quelli affiliati a McDonald’s – costa 34 centesimi in più rispetto a quello venduto nei ristoranti ufficiali. Vuol dire l’8% in più. In Francia il caroprezzi al listino nei punti vendita affiliati è in media pari al 4,4% rispetto ai punti ristoro ufficiali, ma a seconda del posto lo stesso prodotto può costare dal 10% al 27% in più. Un esempio? Una porizione piccola di patate fritte può costare il 25% a Lione, il 64% in più a Parigi, e il 72% in più a Marsiglia.
Unhappy meal. Il rapporto fresco di pubblicazione denuncia come gli affitti esorbitanti e contratti onerosi imposti da McDonald’s ai suoi affiliati contribuiscano a garantire alla stessa McDonald’s “un vantaggio sleale”. Non solo. A questo si aggiungerebbero anche “salari da fame, cattive condizioni di lavoro e l’evasione fiscale aggressiva” che hanno reso possibili guadagni da capogiro. Secondo le associazioni dei consumatori i contenuti del rapporto “forniscono evidenza empirica a sostegno delle accuse” di pratiche anti-competitive di McDonald’s.