Bruxelles – Quaranta giorni di dieta vegetariana per sensibilizzare sull’impatto che il nostro consumo di carne e pesce può avere sull’ambiente: è “40 jours sans viande”, l’iniziativa che sta facendo discutere il Belgio e che mette sotto esame l’impronta ecologica delle abitudini alimentari di noi europei.
Si tratta di una campagna nata sei anni fa dall’idea di Alexia Leysen, una studentessa fiamminga la quale, attraverso il web, quest’anno è riuscita a conquistare anche Bruxelles con un totale di oltre 100.000 partecipanti. L’obiettivo non è diventare tutti vegetariani, la stessa Leysen ammette di non esserlo al 100%, ma promuovere un consumo di carne responsabile per una dieta sostenibile anche a livello ambientale.
“40 jours sans viande” é a metà tra una quaresima “laicizzata” (anche se gli organizzatori sostengono non ci sia nulla di religioso nell’iniziativa) e un gioco online dove vince il più sano. Per partecipare basta iscriversi sul sito jourssansviande.be, individualmente o in squadra, e registrando quotidianamente il proprio consumo di carne si ottiene un calcolo del risparmio sulla propria impronta ecologica, sull’utilizzo di acqua e sulla produzione di gas a effetto serra. Dal sito si legge che per ogni giorno di dieta vegetariana si risparmiano “11 m2 d’impronta ecologica, 1.500 litri d’acqua (due bagni) e 2 kg di gas a effetto serra (ossia 12 km in automobile)”. Certo la realtà è più complessa di quanto questi dati diano a credere, ma le loro cifre non sono troppo distanti da quelle di waterfootprint.org che, comparandoli a sua volta con quelli della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, sostiene che per produrre un chilo di carne bovina servono 15.415 litri di acqua. Alle risorse idriche necessarie si devono poi sommare gli effetti della flatulenza bovina, infatti, sempre secondo i dati FAO, oltre il 18% dei gas a effetto serra è prodotto dagli allevamenti di bestiame (una percentuale più alta rispetto a quelli prodotti dai trasporti). Infine, circa il 70% delle terre coltivabili è utilizzato per la sola produzione animale.
Queste sono le cifre considerate a livello mondiale e nel totale della produzione di CO2 da allevamenti davanti all’UE troviamo ovviamente altri giganti come Cina e Stati Uniti. L’unione Europea va, infatti, controtendenza, con una diminuzione degli allevamenti di bestiame cominciata nel 2005, poi stabilizzatasi nel 2013, e con una maggiore attenzione all’ambiente nella propria produzione, come richiesto dagli obiettivi dell’ultima riforma della CAP. Gli allevatori sono tenuti ad adattare i propri sistemi agricoli se vogliono mantenere il proprio reddito e offrire prodotti orientati alle esigenze del mercato e alla domanda della società di pratiche agricole a basso impatto ambientale.
Forse anche per questo motivo il successo di “40 jours sans viande” è cresciuto di pari passo con una serie di forti critiche. Come l’Apaq, l’agenzia che in Vallonia promuove “un’agricoltura di qualità” e che sostiene che una simile campagna, oltre promuovere un’alimentazione disequilibrata, “rischia di amplificare le difficoltà economiche in cui si trova il settore della carne bovina”. O i rappresentanti del settore agricolo belga, secondo i quali la campagna avrebbe dovuto scegliere un obiettivo migliore per promuovere il consumo di carne responsabile: “40 giorni di prodotti locali, con giorni 40 di acquisti nelle aziende agricole”.
Altre iniziative: (in Italia) Slow Meat.