di Sergio Farris
Può sembrare strano, ma in una situazione di crisi economica caratterizzata da insufficienza di domanda aggregata anche “scavare buche per poi riempirle” è di stimolo per la ripresa. Per ammetterlo, occorre però: affrancarsi dalla sbornia ideologica degli ultimi 35 anni; abbandonare l’impostazione che vede nel “paradigma della scarsità”, con annessa (presunta) necessità dei sacrifici, l’unica corrente di pensiero valida e plausibile.
Anzitutto, un chiarimento: a cosa faceva riferimento Keynes quando parlava di buche? Egli dice nella Teoria generale, del 1936:
Se il Tesoro si mettesse a riempire di biglietti di banca vecchie bottiglie, le sotterrasse ad una profondità adatta in miniere di carbone abbandonate, e queste fossero riempite poi fino alla superficie con i rifiuti della città, e si lasciasse all’iniziativa privata… di scavar fuori di nuovo i biglietti…, non dovrebbe più esistere disoccupazione e, tenendo conto degli effetti secondari, il reddito reale e anche la ricchezza in capitale della collettività diverrebbero probabilmente assai maggiori di quanto sono attualmente.
Come si vede, si tratta di un tema ben distante rispetto al semplice “scavo di buche per poi riempirle”, qualificabile come una volgarizzazione del pensiero dell’economista britannico, concepita per screditare le politiche ad egli riconducibili dipingendole come frivole e dissipatrici.
Il caso del semplice “scavo di buche”, citato da Keynes in un altro passaggio della sua opera più nota, potrebbe infatti essere accostato all’elargizione di un sussidio (il quale avrebbe comunque un effetto in termini di crescita della spesa aggregata).
Vigeva allora il sistema monetario del “gold standard”, e i governi, se proprio non potevano fare a meno di spendere in disavanzo, erano disposti a farlo per l’estrazione di oro dalle miniere. Keynes faceva così provocatoriamente notare che la medesima spesa, indirizzata però alla realizzazione di opere dall’utilità sociale come alloggi, ospedali, scuole, ecc., avrebbe avuto il medesimo (se non superiore) “effetto moltiplicativo” sul reddito complessivo della comunità.
Nella citazione suddetta sono rinvenibili diversi concetti:
– un intervento del governo che mette “a disposizione” denaro e mobilita risorse umane e materiali per il sotterramento e il riempimento delle miniere;
– il recupero delle banconote come stimolo all’attività economica privata;
– una successiva mobilitazione di risorse, sia lavorative che materiali, da parte del settore privato.
Il ragionamento di Keynes è contestualizzato in una situazione di elevata disoccupazione e di sottoutilizzo della capacità produttiva (es., impianti fermi o non pienamente funzionanti) (fig. 1).
Pensiamo, per esempio, a un paese come l’Italia di oggi, con la disoccupazione ufficiale intorno al 12% (senza mettere in conto la forza lavoro che non entra nelle statistiche) e con un livello di investimenti ben lontano rispetto a quanto servirebbe per il recupero della capacità perduta a partire dal 2007 (fig. 2).
In questa situazione, per via delle fosche prospettive di piazzamento utile della produzione sul mercato dovute alla scarsità di domanda, manca un adeguato stimolo all’intrapresa.
Il provocatorio recupero delle banconote sotterrate nella miniera costituirebbe quindi un fattore in grado di incentivare un’attività stagnante o calante. Per la realizzazione dell’attività occorre poi il procacciamento di attrezzature e manodopera, il che implica l’effettuazione di spese, le quali vanno a loro volta, dopo l’intervento governativo iniziale, ad alimentare il circuito produttivo. Inoltre, i soggetti prima disoccupati avranno ora un reddito da spendere, il quale andrà anch’esso, tramite il famoso “effetto moltiplicativo”, ad accrescere il reddito globale.
C’è però un (apparente) ostacolo: dove trae, il governo, le risorse per effettuare la propria spesa iniziale? Abbiamo detto che l’economia si trova in una congiuntura di crisi caratterizzata da disoccupazione e carenza di investimenti; la teoria di Keynes fa ben presente che, in antitesi a quanto ritenuto dai teorici a lui precedenti, la situazione di insufficienza della domanda è un duraturo fenomeno di squilibrio tra risparmi e investimenti (pensiamo, per tornare al nostro paese, alle enormi disparità di reddito e all’abbondanza di ricchezza privata, pari questa a quattro volte il debito pubblico).
Ecco allora la risposta di Keynes:
Lo scavar buche nel terreno mediante risorse tratte dal risparmio accrescerà non soltanto l’occupazione ma anche il reddito reale nazionale, di beni e servizi utili. Ma non è ragionevole che una collettività sensata accetti di dover dipendere da simili espedienti, fortuiti e spesso distruttivi, una volta che si siano compresi i fattori dai quali dipende la domanda effettiva.
Con la quale affermazione egli rende altresì giustizia alle provocatorie affermazioni circa scavi e sotterramenti: ci sono le risorse impiegabili in opere di pubblica utilità e nella produzione di beni pubblici e c’è un’elevata disoccupazione; manca solo la volontà politica per contrastarla.
Perché oggi il nostro governo non attua la politica che risolleverebbe il paese dalla crisi? Semplice: perché rappresenta gli interessi di una minoranza. Quella che si oppone a qualunque politica redistributiva. Quella che per avidità (una costante del sistema capitalistico) deve mantenere precario il lavoro (finte partite IVA, collaborazioni sottopagate, voucher e tutte le forme di sfruttamento di cui fanno ampio uso anche gli enti pubblici, come il servizio civile ). Quella che considera imprescindibile l’affidamento alla Borsa e ai mercati finanziari del ruolo di orientamento dell’accumulazione del capitale. La nostra inerzia è l’arma migliore di detta minoranza.
Pubblicato su Facciamosinistra! il 21 febbraio 2017.