di Alberto Micalizzi
Ondate di carta e debito si abbattono ormai incessantemente sulle economie europee provocando un’implosione controllata del welfare e delle strutture economiche e produttive dei paesi. Questo processo è stato definito “finanziarizzazione dell’economia”. Di cosa si tratta esattamente, e cosa possiamo fare da subito per invertire la rotta?
Ci sono almeno tre grandi tecniche di finanziarizzazione in atto: i) la trasformazione in carta di attività reali (cartolarizzazione); ii) la creazione di scommesse sul valore di altri strumenti finanziari (derivati); iii) la pervasività del debito ad ogni livello principalmente guidato dai presunti programmi di quantitative easing della BCE (debito pubblico, delle famiglie, delle imprese).
Per capire la rilevanza del tema, vediamo alcuni dati di trend dal 2000 al 2015 (fonte BIS).
- Il debito pubblico mondo è passato dal 41% al 86% del PIL del mondo;
- Il valore nominale dei derivati non regolamentati (OTC) è passato da 2,3 a 6,8 volte il PIL mondo;
- Il debito lordo (Stati, famiglie e imprese) è passato da 1 a 2,56 volte il PIL del mondo.
Ciò dimostra chiaramente che l’euro è stato un acceleratore del processo di finanziarizzazione e di indebitamento dell’economia, ma conferma anche che il problema sussisteva già prima dell’introduzione dell’euro. Dunque, è un problema che ha radici lontane e l’euro ne ha costituito la fase di completamento. In tal senso, possiamo pensare all’euro come ad un “acceleratore di particelle… di debito”, una sorta di “fibra ottica” che ha consentito al debito di circolare più rapidamente.
Peraltro, ricordiamo che L’euro come pseudo-moneta agisce all’interno di un’impalcatura che include il fiscal compact, che porta con sé la menzogna dell’austerità, la BCE con le false politiche di quantitative easing che sono semplici trasferimenti di tesoreria alle banche, il MES come organo di governance mascherato da fondo salva-Stati e tutta una serie di altre istituzioni e regolamenti che nel complesso costituiscono il grande disegno di indebitamento dei popoli dell’eurozona. Quindi, parlando di euro va sempre ricordato che il problema è più vasto e profondo e richiede il ripensamento di un intero modello di asservimento che sta falcidiandoci.
Questo sistema è disegnato per alimentare la sfera finanziaria, che ha bisogno di crescere secondo fattori esponenziali, non compatibili con la creazione di ricchezza da parte dell’economia reale, per questo ha bisogno di appropriarsi direttamente dei beni, sia pubblici che privati. È una grande idrovora che aspira ricchezza dalla sfera reale e produttiva a vantaggio di quella finanziaria e speculativa.
Quali sono le conseguenze di queste azioni incessanti messe in atto dal settore finanziario? Alcune di esse sono sotto ai nostri occhi. Reati finanziari quali la manipolazione di mercato (rating), truffe sulla vendita dei titoli derivati, appropriazione indebita di interessi passivi, aggiotaggio di borsa; agevolazione dei processi di privatizzazione e svendita in combinazione con tecniche di cartolarizzazione dei beni; maggiore diffusione del debito a tutti i livelli.
In questo contesto, l’attuazione della Costituzione incontra ostacoli insormontabili. Vediamone i principali. Per quanto attiene agli Art. 35-36 (lavoro e diritti), ricordiamo che la finanziarizzazione dell’economia ha bisogno di deflazione e disoccupazione strutturale, come è stato anche ammesso da noti esponenti del PD negli ultimi tempi (vedi dichiarazioni dell’on. D’Attorre). Non basta. La finanziarizzazione ha anche comportato l’assorbimento del lavoro all’interno della legge utilitaristica della domanda e dell’offerta, nota dottrina neoliberista secondo la quale il livello dei salari manterrebbe in equilibrio il mercato… Ecco dunque lo scadimento di qualsiasi forma di tutela, di diritti e di operosità sociale del lavoro (aiutato anche dal selvaggio flusso immigratorio).
Ancora, l’Art. 38 che tratta di assistenza sociale trova certamente nel fiscal compact uno degli ostacoli alla propria attuazione; l’Art. 41, dove si dice che «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali», incontra l’ostacolo fondamentale della perdita di governo dell’economia da parte degli esecutivi nazionali dovuti alla cessione di sovranità; l’Art 42 che tutela la proprietà pubblica si scontra con l’esigenza ricordata che ha la sfera finanziaria di provocare processi di privatizzazione e svendita.
Ma è soprattutto l’Art. 47 della Costituzione ad essere ostacolato più di qualsiasi altro. Laddove si dice che «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito». Ciò è l’esatto opposto di quanto accade ormai da decenni.
Il credito è moneta, dato che oltre il 90% della massa monetaria in circolazione (secondo dati BCE) è rappresentata dai depositi fittizi creati dalle banche commerciali all’atto della concessione di crediti alla clientela (circa 9 trilioni di euro sul totale di 10 trilioni di aggregato monetario M2 al 2015). Ora, la gestione della moneta e quindi del credito è stata appaltata ad un sistema di banche private, di entità finanziarie assimilabili alle nostre società per azioni, che perseguono finalità di profitto privato senza alcuna logica o considerazione di obiettivi sociali o pubblici. Ciò è tanto vero che la stessa BCE non ha nei propri obiettivi quello della crescita dell’economia reale, bensì quello del contenimento dell’inflazione, che misura il potere d’acquisto della moneta da essi creata.
C’è a ben vedere una radice comune a tutto ciò che si chiama debito. Infatti, il rating e le relative manipolazioni che stiamo conoscendo meglio in questi giorni grazie alla Procura di Trani riguardano il debito pubblico; la clausola del “bail-in” riguarda il debito delle banche; i derivati sono stati venduti alla pubblica amministrazione come parte di operazioni di indebitamento; l’appropriazione indebita degli interessi passivi riguarda il debito pubblico; ed i principali casi di aggiotaggio hanno riguardato operazione di leva finanziaria cioè di debito.
Le soluzioni urgenti per ridare ossigeno all’economia e guadagnare tempo per rivedere i trattati e attuare riforme strutturali sono due:
1) Una banca pubblica per la raccolta fondi presso la BCE, consentita esplicitamente dal comma 2 dall’art. 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, per l’attuazione di un vasto programma di erogazione di finanziamenti alla piccola e media impresa. Ciò consentirebbe di porre un argine alle manovre speculative contro il nostro paese (quali ad esempio l’uso strumentale dello spread) e ricostruire una politica di intervento pubblico in quei settori strategici irrinunciabili quali acqua, energia, difesa, telecomunicazioni che sono tuttora in parte di proprietà statale in numerosi paesi dell’eurozona inclusi Francia e Germania.
Nelle condizioni attuali, ciò può essere attuato sia impiegando opportunamente MPS, dato il sacrificio che tutti faremo per salvarla, sia trasformando in banca una sezione della Cassa Depositi e Prestiti, sul modello della KfW tedesca.
2) La separazione tra banche commerciali e banche d’affari, dove nel primo caso si stabilisca una protezione incondizionata del risparmio. Ciò consentirebbe anche un corretto espletarsi di politiche di finanziamento alle imprese, che contribuirebbero a ridare ossigeno alla parte produttiva del paese.
Infine, è forse superfluo ribadire che il problema è complesso ed include numerose altre variabili quali il debito complessivo Italia detenuto da soggetti non residenti (che oggi ammonta ad oltre 1.000 miliardi di euro), una nuova legge bancaria che ricollochi gli istituti di credito a servizio dell’economia reale, la revisione dei trattati europei, e diverse altre misure di politica interna ed internazionale. Tutto insieme non si può fare.
È dunque inevitabile pensare ad un processo almeno a due fasi dove nella prima si intervenga sulle emergenze a breve, cioè gli interventi che si possono operare all’interno dei trattati vigenti, e nella seconda si modifichino le condizioni strutturali e dunque si ponga mano ai trattati europei.
Rimbocchiamoci le maniche. Adesso sappiamo cosa si può e si deve fare subito. Non c’è rimasto molto tempo…
Pubblicato sul blog dell’autore il 30 gennaio 2017.