Premetto di non essere un fan di lunga data di Fiorella Mannoia e che questa è la mia prima recensione di un suo disco. In passato ne ho comunque apprezzato molti pezzi, sparsi qua e là nella sua ormai copiosa discografia (esordì nel 1972 trovando il primo successo nel 1983), spesso scritti da parolieri di grande livello come Enrico Ruggieri, Tiziano Ferro, Ivano Fossati, solo per citarne alcuni.
La mia attenzione era caduta sul suo nuovo album Combattente dopo aver ascoltato alla radio, a fine 2016, il terzo singolo dal titolo Nessuna conseguenza (il cui testo è di Cheope, figlio di Mogol) che affronta il difficile tema della violenza domestica. Non si tratta in modo specifico della violenza fisica, ma quella morale, molto più sottile, di chi sminuisce con costanza la propria compagna, ingabbiandola fino a farla esplodere. Ma con una chiave di lettura più ampia, forzando un po’ la mano, ben potrebbe comprendere tutti i casi in cui una qualsiasi persona (magari anche un lavoratore nei confronti del proprio capo) possa sentirsi gravemente svalutata e succube di chi crede di essergli superiore, magari solo per la sua posizione gerarchica. Alla fine quindi, il riuscire a gridargli in faccia che ci si è finalmente affrancati senza dover subire alcuna conseguenza, acquista un sapore liberatorio incredibile.
La decisione di ascoltare l’intero LP è nata in realtà però dopo l’ultimo Festival di Sanremo (che ammetto di non aver seguito), quando sui vari social è stato da molti postato il brano Che sia benedetta, che parla senza mezzi termini di quanto la vita possa essere a volte molto dura. Questa durezza, per quanto amara possa essere, non riuscirà mai ad abbattere totalmente la voglia di vivere, nonostante tutto. In fondo non molto diversa, per estetica ed argomento toccato, dalla canzone che dà il titolo al disco che perfeziona così un trittico iniziale veramente notevole. Fra i tre pezzi scritti direttamente dalla Mannoia (insieme a Cesare Chiodo e Bungaro) scelgo Anima di neve e Perfetti sconosciuti per le loro melodie e il loro retrogusto dolceamaro. Una più bella dell’altra. La conclusiva La terra da lontano è il finale orchestrale ideale, che rende ancor più riconoscibile la penna inconfondibile del già citato Fossati.
Termino spendendo due parole sull’aspetto musicale: bisogna dire che mai in passato Fiorella Mannoia, aveva arrangiato le sue canzoni con una veste elettronica così predominante. A ben vedere, in alcuni episodi come Siamo ancora qui e L’ultimo Babbo Natale è andata a mio avviso un po’ troppo oltre “le sue corde” (in pratica sono brani da discoteca). Ritengo tuttavia giusto che gli artisti rivendichino in qualche modo il diritto di sperimentare nuove strade, correndo tutti i rischi del caso.
Un disco che nel complesso resta comunque bellissimo e che mi sento di consigliare vivamente.