di Matt O’Brien
Ci prendiamo ora una pausa dai soliti scandali per portare all’attenzione una notizia che non è poi così tanto nuova: l’austerità è stata un disastro, come sostenevano i suoi critici più accesi.
È questo, almeno, ciò che hanno scoperto gli economisti Christopher House e Linda Tesar dell’Università del Michigan, e Christïan Proebsting della École Polytechnique Fédérale di Losanna, quando hanno esaminato i tagli di bilancio operati dall’Europa negli ultimi otto anni. È emerso che il taglio delle spese operato subito dopo la peggiore crisi degli ultimi ottant’anni a questa parte è servito solo a ridurre il prodotto interno lordo (PIL) e, nei casi più estremi, a far aumentare ulteriormente il rapporto debito/PIL. È vero: cercare di ridurre i livelli di debito a volte porta solo ad aumentare il peso del debito stesso.
Ma facciamo un attimo un passo indietro. Non è detto che sia sempre così. In realtà, non lo è stato quasi mai. Vedete, i tagli alla spesa non dovrebbero essere un problema se contemporaneamente si possono tagliare i tassi di interesse. Questo perché i minori costi di indebitamento possono stimolare l’economia tanto quanto la riduzione della spesa pubblica la rallenta. Cosa succede, però, se i vostri tassi di interesse sono già a zero oppure, cosa ancora peggiore, se siete dentro un’unione monetaria che vi impedisce di svalutare la moneta quando siete in difficoltà?
Be’, non succede niente di buono. House, Tesar e Proebsting hanno calcolato quanto è cresciuta l’economia europea – o meglio, quanto si è contratta – dal momento in cui i paesi hanno iniziato a tagliare la spesa pubblica, nel 2010, sino alla fine del 2014. Poi hanno confrontato il risultato con ciò che dei modelli realistici mostrano che sarebbe accaduto nel caso in cui non fosse stata fatta austerità o non fosse stato adottato l’euro. Secondo i risultati, se le economie dei paesi più duramente colpiti, cioè Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna, non avessero tagliato la spesa, si sarebbero contratte solo dell’1 per cento anziché del 18 per cento; o solo del 7 per cento se avessero mantenuto dracma, sterlina, lira, scudo e peseta, e quindi la possibilità di svalutare, nel caso ipotetico in cui non fossero stati parte di un’unione monetaria che delega le decisioni a Francoforte. Inoltre, avrebbero visto il proprio rapporto debito/PIL aumentare di soli 8 punti percentuali, anziché di 16 punti, se non avessero cercato di portare il bilancio in pareggio. In breve, l’austerità ha fatto danni proprio laddove doveva mettere rimedio, e ha contribuito a distruggere ancora di più un’economia già colpita da una crisi che non si vedeva da tre generazioni.
Questo ci porta a due conclusioni. La prima è che l’euro è stato uno strumento letale che ha trasformato la recessione in depressione economica. Non ha solo determinato la crisi, mantenendo il costo del denaro troppo basso per la Grecia e gli altri paesi periferici durante gli anni del boom e poi rendendolo troppo elevato durante la crisi. Li ha anche costretti a una terribile austerità.
Vedetela così. I paesi che possono stampare moneta per conto proprio non dovranno mai fare default sul debito – possono sempre risolverla con l’inflazione – ma i paesi che non possono perché, diciamo, condividono una moneta comune, finiscono per fallire. La sola possibilità che ciò possa succedere è già sufficiente perché il fallimento diventi realtà. Se i mercati sono preoccupati del fatto che potreste non ripagare i debiti, vi costringeranno a pagare un tasso di interesse più elevato e, in conseguenza di questo, voi potreste davvero trovarvi nell’impossibilità di pagare i debiti.
In altre parole, l’euro può mettere in moto una profezia che si autoavvera, dove i paesi non riescono più a sostenere la spesa e la situazione non fa altro che peggiorare. Questa è una descrizione piuttosto accurata di ciò che è successo fino al momento in cui la Banca centrale europea nel 2012 ha annunciato, comunque in ritardo, che avrebbe fatto «tutto il necessario» per mettere fine a questa speculazione. Questo è stato sufficiente perché gli investitori smettessero di insistere sull’austerità ma, purtroppo, non è bastato perché la smettessero anche i politici.
Tutto ciò serva a ricordarci di non dubitare mai di quanto un piccolo gruppo di ferventi ideologi possa distruggere un’economia. In effetti, è proprio questa l’unica cosa che hanno fatto.
E questo è vero sia per i politici europei che hanno portato avanti la creazione dell’euro – ignorando gli economisti che li avvertivano che sarebbe finita male, proprio come poi è finita – sia per quelli che hanno portato avanti l’austerità qualche decennio più tardi. Dopotutto, non dovrebbe essere una sorpresa che, se cercate di raggiungere il pareggio di bilancio nel momento in cui i tassi sono a zero, va a finire male.
Gli economisti lo sapevano fin dagli anni ’30. I politici, però, l’hanno voluto fare lo stesso, sia perché pensavano che il deficit di bilancio sarebbe stato moralmente, politicamente o economicamente negativo, sia perché non mancavano i presunti esperti pronti a confermargli che stavano facendo la cosa giusta.
Questi economisti di destra hanno prodotto studi su studi per dimostrare che in passato diversi paesi erano riusciti a tagliare la spesa con successo mentre le banche centrali ne compensavano gli effetti tagliando simultaneamente i tassi di interesse, e hanno sostenuto che sarebbe successa la stessa cosa anche quando i tassi erano già a zero, come in effetti erano.
Non serve un dottorato in economia per capire che questo non ha senso. Basta una minima conoscenza di base della storia economica.
Ma non importa. Gli economisti che non si sono mai dati pena di impararla, o che l’hanno dimenticata, o che l’hanno vista come una buona scusa per tagliare la spesa pubblica, sono sempre andati avanti a ripetere che avrebbe funzionato, anche se ha sempre fallito.
Questo dovrebbe essere uno scandalo enorme, peggio di qualsiasi altro.
Pubblicato sul Washington Post il 15 febbraio 2017. Traduzione di Voci dall’Estero.