I sei Paesi fondatori dell’Unione europea (che al tempo era la Comunità europea) vogliono riformare il funzionamento dell’Unione normalizzando il concetto delle “due velocità”. In sostanza vuol dire che chi se la sente di andare avanti con un progetto insieme a qualche altro partner lo può fare, anche se non tutti vogliono partecipare. Si vorrebbe in sostanza istituzionalizzare qualcosa che nei fatti già esiste, da sempre, ma che funziona in forme complesse, poco efficienti, ogni tanto davvero escludenti, con metodi alle volte di fatto al di fuori dall’Unione.
Nell’Ue ci sono molti progetti nei quali si cammina a velocità diverse, il più noto è certo la moneta unica, della quale non tutti fanno parte (e anche chi dovrebbe entraci, in base agli accordi presi quando ha raggiunto l’Unione, non subisce forti pressioni a farlo), c’è poi la Carta dei diritti fondamentali, un paio di cooperazioni rafforzate (che potrebbero essere l’embrione legale della doppia velocità), e un fiume di progetti più piccoli che non sono sempre a ventotto.
Ora, come ha spiegato il sottosegretario italiano Sandro Gozi, non è pensabile di poter andare avanti sempre come una falange romana a 27 (la Gran Bretagna non è coinvolta nel progetto, essendo in uscita). Non è pensabile anche perché di fatto non è sempre stato così in passato.“Abbiamo imparato dalla storia degli ultimi anni che ci potrebbe essere un’Unione Europea con differenti velocità”, ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, ipotizzando che “questo potrebbe essere inserito nella Dichiarazione di Roma”.
L’Unione deve affrontare i tempi moderni, il Mondo non è quello di sessant’anni fa e nemmeno quello del Trattato Lisbona. Sono cambiati i contesti, i tipi di risposte e le velocità alle quali vanno date. A Roma, il 25 marzo, festeggiando i Trattati del 1957 e salutando la Gran Bretagna, i leader dell’Ue vorrebbero trovare le nuove risposte per la futura Europa a ventisette.
La doppia velocità non esclude nessuno, non deve essere temuta da Paesi economicamente più deboli (in fondo per certi aspetti lo è anche l’Italia, rispetto a debito e crescita). A Est, la Polonia, l’Ungheria, mostrano qualche nervosismo, temono di poter essere lasciate indietro. La chiave è invece proprio questa, come è stato sempre nella storia della Cee prima e dell’Ue poi: qualcuno va avanti e crea le condizioni per le quali chi è “dietro” possa aggiungersi al più presto. Come in una cordata in montagna: è necessario che qualcuno salga prima per mettere i chiodi ai quali gli altri si agganceranno. Prima o poi tutti arriveranno alla cima, in una progressione che è continua, in cui c’è chi tira e chi spinge. E tutti servono allo scopo, perché ognuno porta le proprie capacità, conoscenze, idee. L’importante è condividere il punto di arrivo. Restare tutti al campo base, non lasciare che qualcuno vada avanti per dire “ok, c’è la via, andiamo tutti”, non serve a nessuno.