Bruxelles – Sulle politiche sociali e la promozione di diritti la Commissione europea rischia “un effetto boomerang”. Si creano troppe aspettative su temi dove ci si attende molto e su cui si produrrà meno rispetto alle attese. Per questo sarebbe bene che si iniziasse a delineare quanto meno un cronoprogramma e dare prime risposte pratiche agli europei. Non nasconde le sue “preoccupazioni”, Luca Jahier, presidente del gruppo Attività diverse (noto anche come gruppo III) del Comitato economico e sociale europeo (Cese), e relatore del parere sulla comunicazione dell’esecutivo comunitario per un pilastro sociale. La Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica per capire come rilanciare le politiche sociali sulla base dei contributi raccolti, ma se da una parte c’è “compiacimento per l’iniziativa”, dall’altra restano criticità.
Eunews: Nella vostra opinione chiedete “una strategia chiara”. Cosa non vi torna?
Jahier: L’unico punto chiaro della comunicazione è una cosa su cui non siamo d’accordo, il fatto che il pilastro sociale si applica innanzitutto ai membri dell’Eurozona e poi agli altri.
Risente del dibattito in corso su un’Europa a più velocità?
E’ un qualcosa che viene prima di questo dibattito. Ma l’articolo 3 del Trattato sull’Ue, o il titolo X del trattato sul funzionamento dell’Ue, valgono per tutti, mica solo per i Paesi Euro. Oltretutto con due standard diversi di applicazione dei diritti sociali si rischia di avere dumping sociale.
Poi? Dove altro serve chiarezza?
C’è un problema di definizione. Cos’è il pilastro sociale? Bisogna definirlo. Un pilastro sociale esiste già nei trattati (titolo X del Tfue, ndr). SI tratta di fare una sintesi di quanto esiste già? Non è chiaro. Questo pilastro sociale avrà valenza giuridica? Avrà la forma di un fondo, di una direttiva o di un regolamento? Va chiarito tutto questo. Certo che se poi il risultato è una Garanzia giovani rivista, mi immagino già le reazioni…
Perché prende a modello la Garanzia Giovani? Non le piace?
Non critico la Garanzia giovani. Ma non è certo la garanzia giovani che risolve i problemi dei diritti sociali. Oltretutto è straordinaria perché in controtendenza, è arrivata in un momento di tagli e bilanci rivisti al ribasso. Il nodo è capire se il pilastro sociale diventerà un qualcosa di organico o una serie di misure ad hoc. Se non si producono risultati qui, il pilastro sociale diventa un boomerang micidiale. L’Europa non se lo può permettere. Dopo anni di tagli e sacrifici le esigenze di misure sociali sono enormi. Bisogna produrre risultati.
E’ stato promesso troppo?
E’ stato creato un livello di attesa superiore a quello che in punta di diritto l’Ue può fare e a quello che in punta di realismo l’Ue può realizzare. Il grosso delle politiche del lavoro è di competenza nazionale… Il vero problema è che indicatori sociali vincolanti non ci sono. La precedente commissione aveva promosso l’Agenda 2020, che fissava target per la riduzione della disoccupazione femminile, l’istruzione, la riduzione della povertà. Si doveva ridurre del 20% la povertà, che invece è aumentata. Adesso dell’agenda 2020 non si sente più parlare.
Una scelta politica di una Commissione politica o questioni come immigrazione e Brexit hanno ridefinito le priorità?
Hanno deciso di sotterrarla. Non lo dicono, ma nei fatti lo stanno facendo.
Vista la questione delle competenze, il pilastro sociale rischia di infrangersi contro il volere degli Stati?
Innanzitutto ci sono direttive e regolamenti, e gli Stati non possono tirarsi indietro. Poi ci sono strumenti vecchi e nuovi quali il Fondo di coesione, il Fondo sociale europeo e la Garanzia giovani. L’Europa può finanziare diverse cose. E poi può usare altri strumenti. La Commissione europea può sempre esercitare potere di indirizzo, e quindi basta includere richiami alla riforma del mercato del lavoro e all’estensione del sistema di welfare all’interno delle raccomandazioni specifiche per Paese. Nel momento in cui c’è un coordinamento, lo si può rendere cogente. C’è stato un sostegno alla dimensione sociale dell’Ue in occasione del vertice dei leader di Malta. Se tutti riconoscono la necessità di un pilastro sociale, l’Ue non fa alcuna intrusione negli affari interni degli Stati. La politica sociale promossa a livello europeo può essere poi una risposta ai populismi.
Quest’anno si vota in Paesi chiave. Teme che questo incida sull’agenda sociale europea?
Nei Paesi Bassi non si può dire cosa succederà, in Francia i giochi sono aperti, in Germania si contendono la vittoria due compagini comunque entrambe europeiste, e poi c’è l’Austria. Gli scenari rimangono instabili. Ma come ripete Sandro Gozi, non c’è anno in cui non ci siano elezioni nell’Ue. Quindi in tal senso l’Ue ha sempre la questione elettorale.
Giusto promuovere il pilastro sociale a Roma, per i 25 anni del trattato di Maastricht, o si rischia di alimentare ancora di più false speranze?
E’ giusto e va fatto. Si sono create troppo aspettative e comunque della delusione alla fine ci sarà, ma c’è un momento politico in cui è possibile perlomeno delineare una roadmap.